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I SENSI DI COLPA DEL NOSTRO CONSUMISMO

 

L’Africa dai mille conflitti e da governi svenduti agli interessi delle multinazionali dell’Occidente, per appropriassi non solo degli idrocarburi o dei diamanti, ma di materie ben più preziose, indispensabili al funzionamento delle nuove tecnologie, ma solo l’1% viene riciclato. Uno spreco che aumenta l’importazioni dai paesi emergenti.

In’Italia, come nel resto dell’Occidente, il consumo delle nuove tecnologie è in crescendo. Si può fare a meno di mangiare come fare senza un iPhone o dell’iPod, per non dimenticare l’iPad, tipici prodotti devozione di una società consumistica, dimostrando che la crisi incide solo su alcuni settori e l’elettronica non è una di questi.
Prodotti come quelli della Apple e i vari smartphone o anche i “semplici” cellulari, giungono periodicamente immessi nel mercato, per soppiantare il modello precedente anche se vengono riscontrate carenze dovute alla fretta e in certi casi si possono differenziare dal precedente modello per il colore o per la confezione e non per la sostanza.
I vecchi cellulari sono altamente inquinanti, ma si può provvedere allo smaltimento in sicurezza, grazie alla campagna che da oltre tre anni viene promossa dal Movimento ed Azione dei Gesuiti Italiani per lo Sviluppo, il MAGIS (www.magisitalia.org/campagnacellulari_luoghi.php), per finanziare progetti di solidarietà in Africa.
Produrre tali giocattoli, status symbol dell’Occidente, significa continuare, non solo a contribuire ad inquinare, ma al saccheggio dei paesi più poveri delle loro materie prime, come il coltan e il niobio, consolidando il futuro high-tech del “Nord del Mondo”.
Coltan e niobio, insieme ai diamanti, sono la causa dei vai conflitti, più o meno silenziosi, che insanguinano l’Africa. Un sangue che non si limita a garantirsi una fornitura continuativa dei preziosi minerali, ma anche per ottenere una manodopera a buon mercato.

Sono passati 50 anni dall’indipendenza di gran parte dell’Africa dal colonialismo, ma lo sfruttamento del continente ha assunto solo nuove forme: acquisizione di terre fertili, estrazione del petrolio in modo selvaggio, causando danni ambientali, favorendo conflitti per fare affari, foraggiando governi corrotti o incapaci di esprimere le grandi potenzialità del loro Paese.

La caccia alle terre coltivabili, è un nuovo colonialismo, approfondito nell’omonimo libro di Franca Roiatti e non solo a scopo alimentare, ma anche per biocarburanti che arrivano a far migrare i contadini indiani in Etiopia e in Sudan.

Mentre nel recente libro di V.S. Naipaul, La maschera dell’Africa, si dilunga nel descrivere il Continente come primitivo e violento, dove la magia e la superstizione sono una regola e non un’eccezione. In realtà l’Africa è una commistione di arcaico e moderno, di riti tribali cristianizzati, di rivolte contro l’Occidente, non solo con la presenza di gruppi jihadisti più o meno affiliati ad Al Qaeda, ma una intolleranza verso il bianco in Kenya, oltre ai poco rassicuranti proclami dei giovani pretendenti alla leadership sudafricana.

Discarica dei Paesi industrializzati, come quella di Nairobi o della Nigeria, dove gli emarginati cercano la miseria da utilizzare per la sopravvivenza. Una discarica dell’Occidente dove anche gli artisti trovano materiale per le loro opere, come Dvd e schede telefoniche, che si trasformano in arte dall’aspetto di tintinnanti, nei tendaggi multicolori, o in sculture che Gonçalo Mabunda ricava da residuati bellici. Un parallelismo, quello degli scarti, con le perline che l’Occidente dava in cambio per un’Umanità in schiavitù.

L’Africa degli anni ’50 e ’80, con le prime indipendenze, era pervasa da fervori rivoluzionari e Unione sovietica n’era lo sponsor principale, ora il sovieticismo ha lasciato il posto alla pratica cinese della conquista del mercato, costruendo porti e altre infrastrutture per tutto il Continente, oltre ad utilizzare paesi come il Senegal o la Nigeria come trampolini per ulteriore infiltrazione nel mercato europeo di prodotti taroccati e paccottiglia varia.

L’influenza dell’Unione sovietica nel Continente africano aveva comportato una clonazione del regime dittatoriale, acquisendone tutta la sua ferocia, ma lasciando da parte l’impegno nel garantire un minimo di sussistenza e di fornire gli strumenti per l’istruzione.

La Liberia vanta, con Ellen Johnson Sirleaf, la prima donna eletta presidente, mentre la First Lady della Repubblica Democratica del Congo ha guidato una marcia delle donne contro le violenze. Dei 25 ministeri che costituiscono il Governo senegalese, 6 sono guidati da donne, come anche il capo del governo Madior Boye e sono donne le protagoniste dell’agricoltura.
L’economista Dambisa Moyo, autrice del libro Dead Aid, critica la politica dei finanziamenti all'Africa, mentre nel Continente sbarca, dalla lontana India, i Barefoot College (dei piedi scalzi), promossi da Sanjit Bunker Roy per avviare all’utilizzo dell’energia solare e alla microeconomia.

Un’Africa che, assediata dalla Coca Cola, produce la sua Ubuntu Cola, e dove le imprese europee ed asiatiche hanno ottenuto ampie estensioni di terra per le coltivazioni della canna da zucchero, dell’olio di palma e della jatropha, per ricavare biocarburanti, causando il disboscamento e l’abbandono dell’agricoltura tradizionale.

Il Rwanda di Kagame, sotto una strana forma di democrazia, è sottoposto ad una modernizzazione forzata, nella graduatoria mondiale è meno corrotta dell’Italia, mentre nello Zimbabwe di Robert Mugabe si arretra nella povertà, ma in entrambe le nazioni non vi è posto per l’opposizione.

In varie zone dell’Africa sono dislocati dei contingenti dell’Onu, affrontando le difficoltà nel garantire la sicurezza sia nella zona del Kiwu, Repubblica Democratica del Congo, come nel Darfur o nella Somalia di mille islam e della devastazione del cimitero italiano, una dimostrazione di avversità verso l’Occidente, con la profanazione di tombe.
Un’avversità che si era precedentemente manifestata nel 1961 con il massacro di 13 aviatori italiani a Kindu (Congo), la cui unica colpa era di aver trasportato, nell’ambito della missione di pace internazionale, materiale destinato al contingente malese dell’Onu.

È ancora presente la piaga dei bambini soldato, nonostante la dichiarazione firmata a N’Djamena da 6 paesi (Camerun, Centrafrica, Ciad, Niger, Nigeria, Sudan) sui 9 partecipanti presenti alla conferenza regionale di giugno, organizzata dal governo del Ciad e dall’UNICEF, rischia di rimanere solo una dichiarazioni di intenti, anche per la mancata adesione della Repubblica Democratica del Congo, Liberia e Sierra Leone, oltre all’Uganda affranto da quindici anni di guerra civile che contrappone le truppe regolari ugandesi a Joseph Kony impegnato, con il suo LRA (Lord's Resistance Army, Esercito di Resistenza del Signore), ad asserire nel paese una teocrazia fondata sulla Bibbia e sui Dieci comandamenti.
Come all’arruolamento dei minori in eserciti più o meno regolari, così le mutilazione genitali sono ancora praticate in alcune regioni. Un’infanzia negata e piena di sofferenze per bambini e bambine, mentre un gruppo di minorenni ha dato vita ad un parlamento auto convocato nella Repubblica Democratica del Congo.

Due reporter di Al Jazeera (http://english.aljazeera.net/), David Turner e Lara Žižić, hanno documentato gli sforzi dei due ragazzi che si battono per i diritti di altri bambini e adolescenti, nel Congo orientale. Descrivono le sfide affrontate dai giovani congolesi cercando di cambiare il futuro, anche con organizzazioni come il Parlamento dei Bambini, qualcosa di simile esiste in Scozia (www.childrensparliament.org.uk), gestita da bambini per i bambini sin dal 1999, per prendere coscienza anche delle prevaricazioni perpetrate dalle società straniere, come la Shell in Nigeria, nell’accaparrarsi le risorse del loro Paese ed influenzarne la governabilità, corrompendo le autorità locali e nazionali. Deputati bambini, eletti dai loro coetanei, che lavorano, senza alcun compenso, per il diritto di un’infanzia nel Congo lacerato.

Tra nazioni che hanno occupato il Continente africano, l’Italia ha dimostrare una certa difficoltà a pendersi un serio impegno diplomatico e umanitario verso l’ex colonie della regione del Corno d’Africa (Etiopia, Eritrea e Somalia), mentre concede alla dittatura libica, altra ex colonia, il mare, visto che si affaccia sul Mediterraneo e continua a sequestrare pescherecci italiani, e un monte di onori, spacciati per una vigorosa affermazione della politica italiana.

La vera indipendenza africana non si è ancora compiuta, l’Africa dovrà passare diverse fasi, com’è successo in Sud America che dopo aver conquistato l’indipendenza nell’arco degli ultimi due secoli della Spagna e del Portogallo, ma non completamente dalla presenza francese e britannica, ha poi dovuto affrancarsi anche dalla sommessa egemonia statunitense.

Per il Continente africano quello sudamericano è un esempio e una speranza, nel suo aver vissuto stermini, dittature, governi corrotti, oltre che ad una continua svendita delle proprie ricchezze e solo ora gli strascichi colonialistici sono ridotti a piccole presenze, l’Africa può sperare in un futuro ben migliore del presente che sta vivendo.

Una Nigeria e un Congo che hanno tutte le potenzialità per essere delle nazioni ricche, ma in mille rivoli si perdono i guadagni. Il Sudafrica ha accantonato l’apartheid politica, ma non quello economico e sociale, rendendolo ancora lontano in momento della condivisione delle ricchezze (oro, diamanti, platino, ferro, cromo, carbone), per estirpare la povertà e l’analfabetismo insieme all’Aids. Un paese dell'Africa australe che appare nel panorama internazionale tra le nazioni emergenti, ma strutturalmente debole. Un Sudafrica con i bianchi ancora nei posti di prestigio e comando e una nuova generazione di nativi sempre più impazienti.

La Namibia, dopo un provveditorato sudafricano, ha ottenuto l’indipendenza solo nel 1990 e pur essendo il quinto produttore di uranio nel mondo e uno dei più importanti esportatori africani di minerali non combustibili, come il Sudafrica, la sua economia è basata sull'agricoltura e all'allevamento di sussistenza (mais, miglio, capre e pecore). Il reddito pro-capite in Namibia è cinque volte quello dei paesi più poveri dell'Africa, ma la maggioranza della popolazione vive in povertà. Disoccupazione e un’iniqua ridistribuzione della ricchezza, oltre ai capitali che vengono investiti all'estero, invece di impegnarli nel favorire il turismo in una Namibia dove convivono, a causa della colonizzazione tedesca e inglese, un curioso connubio di costumi e architetture, offrendo qualcosa in più delle bellezze naturali del resto dell’Africa, ma rendendola invisibile nel panorama internazionale.

La vicina Angola, ex colonia portoghese, rappresenta una nuova opportunità per il Portogallo in crisi, dando vita ad una migrazione dal nord al sud. Forse è questo il futuro di un Continente in gran parte sconosciuto: accogliere gli emigranti dell’Occidente, dopo che l’Occidente ha cercato di tenere lontano dalle sue coste legni dei disperati.

Gli italiani potrebbero prendere ad esempio i portoghesi e riscoprire l’Eritrea, con la sua architettura italica e luoghi affascinanti, e dare inizio al circuito virtuoso tra turismo e democrazia, facendo pressione su un Governo liberticida per stimolare il miglioramento delle condizioni di vita, fermando l’emorragia di giovani verso l’Italia. Investire in Eritrea per valorizzare presenza architettonica italiana, per evitare le tragedie nelle deserto e in mare.

In Africa convivono dittature e democrazie, più o meno autoritarie, ma anche governi che timidamente si aprono ad un pluralismo come in Marocco, sino a quando non va a scontrarsi con lo sfruttamento di giacimenti minerari. Così l’Africa araba si divide sui fosfati, venduti sino a pochi anni fa a $40 per tonnellata, ora saliti a circa $130. Una ricchezza che nasce sulla violenza, a discapito dell’indipendenza del popolo Saharawi, al quale appartiene parte della regione che il Marocco ha cominciato ad annettersi, dopo il capitolo coloniale spagnolo, e consolidandone l’attribuzione dell’area con la realizzazione di un muro militarizzato, separando la ricchezza dalla povertà.
Gran parte delle ricchezze del Sahara Occidentale, ex Sahara spagnolo, è oltre il muro marocchino, con le miniere di fosfati e il controllo di una delle coste tra le più pescose al mondo e con i giacimenti petroliferi, mentre la zona controllata dalla Repubblica Araba Saharawi Democratica, riconosciuta da una settantina di nazioni, è economica meno importante, una sottile striscia nell'entroterra al confine meridionale con la Mauritania.
Un’area ricca della materia prima per i fertilizzanti e le batterie ricaricabili e che il Marocco non vuole solo sfruttarne le minerarie, ma realizzando anche dei parchi tematici, puntando sullo sviluppo di un’economia basata sulle energie rinnovabili, mentre dall’altra parte della muraglia continuano gli scontri e le vittime.

Tutto il Maghreb, come il nord Africa, gode di una democrazia sotto tutela, in un recinto, sorvegliata, dall’Algeria alla Libia, sino all’Egitto, come dimostrano le recenti elezioni, senza dimenticare quel batuffolo di terra quale è la Tunisia. Si diversificano nelle forme di praticare la censura sui giornali, nell’imprigionare scomodi oppositori o nel riconosce alcun diritti all’informazione cartacea e su web, ma tutti fanno lucrosi affari con l’Europa e con l’Italia in particolare.

Il nord Africa non detiene il copy right della democrazia avallata da elezioni pilotate, anche in altre parti del Pianeta e quindi dell’Africa, si posso invalidare le elezioni o, come in Costa d’Avorio, si dichiarano due presidenti, negando i processi elettorali, per soddisfare chi non vuol rinunciare al potere e chi è uscito vincitore. Il governo entrale sudanese riuscirà ad accettare qualsiasi risultato del referendum richiesto per la secessione di 8 milioni di abitanti e con loro il Nord del Paese rinuncia anche ai ricchi giacimenti petroliferi.
Per mettere sotto tutela la democrazia si può anche dichiarare fuorilegge i partiti scomodi o sfavorire l’accesso ai seggi elettorali della popolazione non in linea con il potere governativo. Tanti escamotage per conservare in famiglia un’intera nazione e almeno altrettanti sono i governanti invidiosi di tali soluzioni.

Nei prossimi 40 anni l’Africa vedrà triplicata la sua popolazione passando, seconda la stima pubblicata sul rapporto dell'ufficio delle Nazioni Unite (UN Habitat) dal titolo The State of African Cities 2010, dagli attuali 395 milioni (2009) a un miliardo e 230 milioni nel 2050. Un incremento che coinvolgerà anche la popolazione urbana, prospettando 12 milioni e mezzo di abitanti, entro cinque anni, per Lagos (Nigeria), superando Il Cairo con i suoi attuali 11 milioni.

Tante Afriche accomunate dalle lamiere scelte per erigere dei rifugi eletti a casa, da quella umanità che spesso non raggiunge un euro al giorno per vivere, come accade in molte altre parti del Mondo e da un’infanzia dimenticata, abbandonata che vaga per le strade di Nairobi e Luanda, tra la polvere de Il Cairo e le baraccopoli di Johannesburg.

L’Occidente continua ad essere una banderuola dei Diritti ed è facilmente corruttibile se si tocca i suoi personali standard di benessere e la gran parte della popolazione che vi abita è ipnotizzata dallo sbrilluccichio delle novità hi-tech e dalla comodità di utilizzare l’automobile ad idrocarburi, per non dimenticare il super lusso dei diamanti e del platino.

15 dicembre 2010
Gianleonardo Latini


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