Mediterranea

LA PACE: PRIMA O POI

La tregua, nel vicino Medio-Oriente è fragile, estremamente gracile, ma si era sperato che Ehud Olmert avesse terminato l'azione di smaltimento delle munizioni in scadenza, mentre Ismail Haniyeh e tutti i fanatici di Hamas avessero sospeso, in attesa di un nuovo rifornimento missilistico, di provocare la sicurezza israeliana.
Si sono svolte le elezioni ed Olmert non guiderà nessun governo e il successo della destra può essere spiegato dalla crescente ostilità di Hamas e di Hezbollah verso Israele, durante i governi di centro-sinistra. L’Unione europea e gli Stati uniti vedrebbero con simpatia un governo che contempli anche Kadima, mentre Abraham B. Yehoshua pensa che il coinvolgimento della destra al governo potrebbe fare bene a Israele, perché vede l’intero sistema politico israeliano in continuo e lento spostamento verso posizioni meno bellicose, avvicinandosi a quelle della sinistra. Yehoshua ricorda che numerosi esponenti Kadima sono stati nel Likud.
Netanyahu, l’attuale leader del Likud, dovrà dimostrarsi pragmatico, non può permettersi di raffreddare i rapporti con gli Stati uniti che premono per la pace, e stringere la mano alla leadership palestinese come fece con Arafat.
L'ego smisurato della politica spesso conduce a scelte eccessive e rende la vita quotidiana dei popoli difficile, sofferente di ogni diritto, ma i toni possono cambiare con l’assunzione di responsabilità governative, permettendo una decantazione dell’oratoria estremistica.
Forse la nuova politica israeliana prevedrà altri interventi militari a Gaza, per garantire un barlume di normalità agli abitanti di Sderot e località limitrofe, cercando di fermare il lancio dei razzi Qassam e Grad su Ashqelon o Beer Sheva.
È difficile trovare una soluzione diversa dalle armi, se Israele e Hamas continuano a non voler riconoscere la reciproca esistenza.
Le centinaia di bambini, di donne e di anziani non sono state le vittime della sola scelta militare del governo israeliano, ma alla vetusta visione politica di Hamas, al suo essere strumento di altri poteri e soprattutto di tutta una Comunità internazionale che lascia in balia della violenza due popoli che potrebbero vivere e prosperare, invece di alimentare la scuola dell’odio anche attraverso i cartoni animati.
Il Medio Oriente cattura l’attenzione internazionale, ora che il nuovo governo israeliano dovrà tenere fede alle promesse elettorali, e Hamas dovrà, al suo interno, imbrigliare i gruppetti estremisti che potrebbero mettere in discussione la tregua avanzata dal piano egiziano, oltre ad emanciparsi dalla Siria e dall’Iran. La popolazione di Gaza non dovrebbe continuare a soffrire per delle schizzosfreniche diatribe sulla gestione della ricostruzione.
L’Europa e la Comunità internazionale non brilla di sagacia neanche nel ignorare la continua mattanza di civili nello Sri Lanka, come i colpi di artiglieria sull’ospedale di Puthukkudiyiruppu, nella zona settentrionale dell’isola, centrando il reparto pediatrico e provocando numerose vittime.
Ospedali, come anche le scuole, sono i primi bersagli degli eserciti governativi per combattere guerriglieri e terroristi che si fanno scudo dei civili.
Un’unica stizzosa voce si alza dal silenzio che copre le stragi in Sri Lanka, è quella del portavoce di turno dell’Onu. Lo Sri Lanka come Gaza, ma la comunità internazionale volge il suo sguardo a quest’ultima e a chi dovrà gestire gli aiuti e chi la ricostruzione.
Nel Kosovo non reprime traffici illegali e non riesce a garantire la sicurezza alle poche comunità serbe presenti, avallando la dichiarazione unilaterale d’indipendenza da Belgrado.
Prima erano i serbi a dare la caccia ai kosovari, poi i kosovari hanno dato la caccia ai serbi, ora i pochi serbi rimasti vivono in tante piccole prigioni all’aperto, nella povertà e nell’insicurezza del futuro, dove l’infanzia non esiste.
Prigionieri nelle proprie case, “protetti” dai diversi contingenti che non hanno la possibilità di intervenire per stroncare l’illegalità diffusa.
La Comunità internazionale, organizzata sotto l’egida dell’Onu o della Nato, senza dimenticare gli interventi individuali, non riesce ad essere incisiva in qualsiasi processo di pace.
Intervenire militarmente non dovrebbe escludere la diplomazia, il peacekeeping deve essere incisivo nel vegliare su fragili tregue, contrastando traffici e prevenire atti violenti, oltre alleviare le sofferenze della popolazioni e soprattutto preservare l’infanzia dagli orrori di ogni conflitto.
Un’incapacità riscontrabile anche nel Darfur, nonostante il benevolo interessamento di Hollywood, con un insufficiente spiegamento di forze, poco attrezzato, senza un chiaro mandato, per un’interposizione efficace, nel proteggere la popolazione e soprattutto se stessi.

g.l


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