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LA BIOLOGIA MOLECOLARE VA ALL’ATTACCO DELLE RUGHE

Le nuove tecnologie per l’analisi simultanea del genoma offrono nuovi metodi per studiare l’invecchiamento della pelle.
Come è noto, in ognuna delle cellule dl nostro corpo è contenuto l’intero corredo genomico, suddiviso nelle ventitré paia di molecole di DNA dette cromosomi. Ma se ogni cellula contiene la stessa informazione, come mai la pelle è così diversa dal sangue, dal fegato o dalle ossa? La risposta è che non tutte le porzioni di DNA, non tutti i geni, vengono letti allo stesso modo da tutte le cellule. Ogni cellula legge solo le istruzioni di propria pertinenza, e può variare i geni letti a seconda delle circostanze. Tra i circa 30.000 geni presenti nell’intero genoma, in ogni momento della sua vita ogni cellula ne legge solo qualche centinaio o migliaio, con intensità variabile, a seconda delle necessità e delle fasi vitali.
I moderni metodi di analisi consentono di analizzare i geni che una determinata popolazione cellulare sta leggendo, e di confrontarli con quelli letti da un’altra: così alcune aziende di cosmetici stanno cominciando a  indagare le caratteristiche delle pelli più anziane.
L’Oréal, per esempio, afferma di aver identificato ben 25 geni letti in modo differente dalla pelle giovane rispetto a quella anziana, durante la risposta al danno esterno (freddo, luce, eccetera).
Secondo la Procter and Gamble, la pelle delle donne più anziane legge in modo meno efficiente i geni per la sintesi del colesterolo e degli acidi grassi (componenti fondamentali della membrana cellulare), mentre legge in modo aumentato geni relativi all’infiammazione e alla risposta immunitaria. I tecnici della P&G sostengono che trattando le pelli anziane con la niacinamide (una delle vitamine B), la lettura di geni infiammatori torna simile a quella delle pelli giovani.
Alcuni scienziati tuttavia, si mantengono cauti: non è affatto detto che riportare il profilo di lettura genica ai suoi livelli giovanili basti davvero per restituire alla pelle il suo aspetto giovanile!

Marta Baiocchi

Bibliografia: New Scientist, 30 giugno 2009


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