Mediterranea

EFFETTO SERRA: LE SALSICCE IN PROVETTA SALVERANNO IL MONDO?

Secondo alcuni studi, la produzione del cibo che arriva sulle nostre tavole causa mediamente il doppio di effetto serra della benzina che usiamo per le nostre automobili.
Come si fa a calcolarlo? Si considera l’impatto di tutti i combustibili fossili bruciati per la produzione e il trasporto, più quello degli ossidi di azoto sprigionati dai fertilizzanti impiegati (gli ossidi di azoto intrappolano calore 296 volte più efficientemente dell’anidride carbonica), più il metano prodotto dagli animali a causa dell’icompleta digestione dei vegetali (il metano intrappola calore 21 volte più della CO2).
Per calcolare gli equivalenti di CO2 sprigionati da un chilo di petti di pollo, quindi, bisogna sommare i combustibili utilizzati per produrre le granaglie di cui il pollo si è nutrito (trattori, pompe per irrigare, più l’impatto dell’ossido di azoto dei fertilizzanti), quelli utilizzati per riscaldare il pollaio, per trasportare gli animali alla macellazione, per il funzionamento degli apparecchi di macellazione, per la preparazione e per l’impacchettamento dei petti di pollo. Poi il trasporto al supermercato, e la refrigerazione. Poi la benzina che usiamo per andarli a comprare, infine il gas che usiamo per cucinarli.
C’e di che sbalordire: secondo questi conti, una scodella di latte e cereali genera più effetto serra che guidare per sei chilometri un SUV.
Una ditta inglese ha già cominciato a stampigliare sulla confezione il “costo” in termini di CO2 delle patatine fritte che produce. Nel  frattempo, una catena di fast food americana sta studiando il lancio di pasti “a basso impatto-serra”.
Come si può diminuire la produzione di gas serra legata al cibo? Il metodo più efficace è certamente quello di passare al vegetariano: ci vogliono quasi sei chili di grano per produrre un chilo di carne di maiale, e tredici chili di grano più trenta chili di foraggio per un chilo di manzo. Quel che è peggio, gli animali rilasciano grandi quantità di metano.
Un altro sistema sarebbe quello di tenere i luoghi di produzione vicino a quelli di consumo, riducendo l’energia per il trasporto e la refrigerazione. A patto, ovviamente, che i terreni siano adatti alla coltivazione: il tipo di terreno e il clima delle diverse zone sono determinanti per il rendimento dei raccolti a parità di trattamento.
Non sempre, invece, il cibo “organico” comporta una riduzione delle emissioni: mentre per alcuni tipi di coltivazioni, ad esempio, il minore uso di pesticidi e fertilizzanti può ridurre l’impatto totale, i polli allevati forzatamente consumano meno mangime rispetto ai polli lasciati liberi di camminare.
La sfida per il futuro, infine, è la carne in provetta, che abbatterebbe drammaticamente i costi di mantenimento degli animali e la produzione di metano. Sono già allo studio sistemi in cui cellule staminali di muscolo vengono fatte crescere in bioreattori, su supporti costituiti da microsfere commestibili, e l’associazione PETA (People for Ethical Treatment of Animals) offre un premio di un milione di dollari a chi troverà il metodo industriale di produrre carne in vitro indistinguibile al gusto da quella di pollo.
Le salsicce in provette sono ormai quasi pronte per essere servite in tavola?

Marta Baiocchi

Bibliografia: New Scientist, 13 September 2008, pag. 28


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