Mediterranea

TORTURA E DINTORNI

Tutti ricordiamo la curiosa foto scattata nel carcere di Abu Ghraib nel 204, dove si vede un uomo incappucciato, vestito con un saio, a braccia tese collegate ad elettrodi. Ebbene, dopo la lettura del libro che ho sottomano è difficile pensare alla bravata del soldato cretino: è invece perfettamente in linea con gli insegnamenti sulla deprivazione sensoriale e sul dolore autoinflitto. Sto parlando del libro di Alfred McCoy, Una questione di tortura (Roma, Edizioni Socrates, 2008), che negli Stati Uniti ha suscitato polemiche furiose. E a ragione: per anni il governo americano ha incoraggiato tramite la CIA iniziative che invece avrebbe dovuto vietare. Dopo una breve storia della tortura e della sua riconosciuta inutilità (ma l’autore ignora Cesare Beccaria!), si analizzano le tecniche storicamente usate da nazisti, stalinisti e comunisti cinesi, dal pestaggio allo hsi nao (lavaggio del cervello). Tutto questo fu oggetto di studi durante la Guerra e soprattutto nel corso della Guerra Fredda, epoca in cui la psicologia fu militarizzata e studiosi come Hebb o Gottlieb stavano quasi per prendere il Nobel invece di meritarsi se non la galera, almeno il trattamento che stavano studiando per gli altri e sugli altri. In sostanza, studiando la psicologia umana si arrivò a conclusioni relativamente semplici: il dolore fisico si sopporta, ma unito alla pressione psicologica smonta la personalità dell’individuo, non abituato ad un ambiente sensoriale mutevole o sterilizzato. In più, la scoperta che quei sistemi potevano essere usati da persone normali. E qui viene in mente Briganti, quel geniale film di Otar Iosseliani (1996)1 . Prodotti in modo autonomo dalle università americane o commissionati dalla CIA, tutti questi studi sarebbero infine confluiti nel Kubark Counterintelligence Interrogation, il manuale sulle tecniche di interrogatorio più diffuso2 , presto tradotto e distribuito soprattutto in Sudamerica e ovunque si dovesse contrastare l’avanzata dei comunisti, che si riteneva usassero tecniche simili. In realtà certe pratiche erano possibili solo dove un governo autoritario le autorizzava: le Filippine di Marcos, il Vietnam del Sud, l’America centrale, il Brasile, il Cile e altri paesi sudamericani e forse africani. Usate da un governo democratico si dimostrarono controproducenti, come nel 1962 nella Battaglia di Algeri, quando i francesi del gen. Massu usarono nella repressione della guerriglia mezzi forse efficaci, ma inaccettabili dall’opinione pubblica nazionale. Il c.d. programma Phoenix3 fu invece applicabile in Vietnam perché lì la CIA non aveva limitazioni né controlli. Gestiti in proprio o più spesso attraverso agenti locali addestrati ad hoc, quel tipo di interrogatori avrebbe lasciato sul terreno migliaia di morti, buttati praticamente in discarica. Un decisivo cambiamento di rotta sarebbe avvenuto nel 1993, quando il governo americano firmò la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, dopo che l’anno prima Cheney aveva aperto un’inchiesta sui troppi manuali (un migliaio in sette edizioni) dati in giro nella traduzione spagnola4 . Fin troppo facile notare che, crollato il Muro di Berlino, era venuto meno il motivo di tanto accanimento. Al punto che lo stesso manuale Kubark è accessibile ora in rete5. Purtroppo l’attentato dell’11 settembre 2001 avrebbe di nuovo modificato la situazione, creando per Guantanamo una situazione giuridica ad hoc, tale da permettere tuttora pratiche vietate nel territorio federale. In più, le foto sfuggite (o diffuse ad arte) dal carcere di Abu Ghraib nel 2004 fecero capire a tutti che certe pratiche non erano soltanto appaltate a polizie più o meno segrete e/o alleate, ma gestite anche da reparti dell’Esercito regolare. Un capitolo a parte poi meritano i voli segreti della CIA per trasferire i prigionieri da interrogare: si sono verificati passaggi di consegna in aeroporti civili europei persino con agenti travestiti alla
Rambo, contro ogni buon senso. Tutto questo viene documentato dall’autore, che ovviamente non ha avuto il lavoro facile, almeno negli Stati Uniti. In realtà molto materiale noi italiani lo conoscevamo già; non parlo della ricca letteratura pubblicata sulle riviste americane di psicologia sperimentale, accessibile almeno agli specialisti e forse in parte tradotta anche in italiano, ma alludo a tutta la pubblicistica dei collettivi politici di sinistra che inondava librerie, bancarelle e manifestazioni nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta. Pubblicistica faziosa, ma precisa e puntuale nel documentare gli abusi contro i diritti civili nei paesi dove c’era guerriglia. Noi europei, se volevamo, su certe cose eravamo un minimo informati, a differenza degli Stati Uniti, dove persino alcuni senatori democratici a capo delle commissioni d’inchiesta dimostrano una conoscenza assai scarsa dell’attività delle istituzioni che avrebbero dovuto controllare. L’autore deve molto a Seymour Hersh, ben noto - prima ancora per l’inchiesta su Abu Ghraib - per quella sul massacro di My Lai 4 nel 1969 in Vietnam6 , ma cita p.es. anche Decent Interval (1978) di Frank Snepp, un ex agente della CIA che descrisse gli ultimi frenetici mesi della Saigon americana7 . Stranamente, l’autore sembra invece non conoscere un libro che fu tradotto anche in italiano, The New Legions (1967)di Donald Duncan, memorie di un Berretto Verde istruttore in Vietnam e nauseato del suo lavoro8 . Peccato, perché lì c’era una frase indicativa: quando un alleato SudViet tortura un sospetto Vietcong e poi lo ammazza a sangue freddo, un sottoufficiale (Duncan stesso?) vomita e l’ufficiale lo riprende: “Ma che fai? Dài, non siamo noi a farlo, sono loro!”. Questa responsabilità indiretta ha sicuramente evitato a molti militari e funzionari di finire in tribunale, ma evidentemente non li ha salvati da squilibri emotivi. Quello che è peggio, la tortura eseguita non da corpi specializzati ma dai militari comuni (come nelle Filippine o nell’America centrale e meridionale) si è dimostrata distruttiva della disciplina e della coesione interna di un esercito: abituati all’impunità, coinvolti in un delirio di onnipotenza, i soldati addetti alla tortura diventano cinici, arroganti e non di rado – come nelle Filippine del dittatore Marcos – saranno i primi a fare un altro colpo di Stato. Infine, al di là della morale, la tortura serve a qualcosa? Si è visto che alla fine chi crolla non confessa solo la verità, ma anche quello che l’altro vorrebbe ascoltare. E l’esistenza delle armi di distruzione di massa di Saddam è stata in effetti “documentata” anche dalle “confessioni” di alcuni terroristi afghani. Ben venga quindi la traduzione di questo libro in italiano, se serve a migliorare il mondo.

Marco Pasquali

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  1. http://www.cinemedioevo.net/Film/cine_briganti.htm
  2. Kubark è l’acronimo del quartier generale della CIA, in Virginia (cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/CIA_cryptonym )
  3. http://en.wikipedia.org/wiki/Phoenix_Program
  4. Improper Material in Spanish-Language Intelligence Training Manuals."
  5. http://www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB122/index.htm#kubark.
  6. http://it.wikipedia.org/wiki/Seymour_Hersh
  7. http://www.franksnepp.com/ . Il titolo completo è: Decent Interval: An Insider's Account of Saigon's Indecent End Told by the Cia's Chief Strategy Analyst in Vietnam
  8. Donald Duncan, Le nuove legioni. Milano, Rizzoli, 1968.

Una questione di tortura

Autore
Alfred W. McCoy
Traduzione:
Paolo Brama e Francesca Sabani
Edizioni

Socrates, 2008

Pagine
344
ISBN
8872020360
Info:
http://www.edizionisocrates.com

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