Mediterranea

IL TESTACCIO MODERNO


Troviamo, tornando su via Galvani, la casa decorata a già sede romana del Club Alpino Italiano fondata nel 1873, ma anche di parte dell’istituto tecnico De Amicis, è recente l’esperienza dei writer nel cortile dell’istituto, inserito nel più ampio progetto "Roma magistra artis" dell’Amministrazione comunale per realizzare, nell’ambito del decoro urbano, in dieci scuole di Roma per realizzare murales, con laboratori e convegni.

L’itinerario tra presenze architettonico-artistiche prosegue a ridosso della Piramide Cestia, ancora all’interno delle Mura Aureliane, con una visita a due cimiteri: quello dei non cattolici e di coloro che la chiesa riteneva indegni di essere sepolti in terra consacrata, come attori e suicidi, e quello degli inglesi, tra le Mura Aureliane le pendici del Monte Testaccio.

Il Cimitero acattolico, conosciuto anche come degli stranieri, dei protestanti, o anche degli artisti e dei poeti, immerso nel silenzio dei cipressi secolari, è uno dei luoghi più suggestivi di Roma e, al pari del parigino Père Lachaise, il meno tetro tra i Cimiteri, anche se non altrettanto esteso, ma anche un luogo romantico nello spirito e per gli appassionati di quell’epoca.

Accoglie le sepolture di personaggi come quelle degli scultori statunitensi Richard Saltonstall Greenough, Franklyn Simmons, Hendrik Christian Andersen (la sua casa-museo è visitabile al Flaminio) e William Wetmore Story, sepolto accanto alla moglie sotto una sua scultura Angel of Grief (Angelo del Dolore). Tra le tombe troviamo anche un medaglione di Bertel Thorvaldsen, incluso nel monumento funebre di August von Goethe, figlio di Johann Wolfgang von Goethe, e le inumazioni di letterati come: John Keats, morto di tubercolosi nel 1821 all’età di 21 anni, di Percy Shelley, annegato a Viareggio nel 1822, sui quali si può sapere di più visitando la casa-museo a piazza di Spagna 26, di Gregory Corso, Dario Bellezza, Amelia Rosselli, figlia dell'esule antifascista Carlo Rosselli, e Luce d'Eramo, oltre alla sepoltura di Antonio Gramsci, immortalata dai versi di Pier Paolo Pasolini, quella di Antonio Labriola e Bruno Pontecorvo. Il cimitero è nato clandestinamente, come le sepolture avvenivano di notte, e probabilmente il primo documento che attesti il luogo dell'attuale "Cimitero dei protestanti" viene con la pianta della città del G.B. Nolli (1784).
Non era prevista nessuna recinzione e le tombe si confondevano con quella parte della campagna romana nota come "i prati del popolo romano".
Solo nel 1817 i rappresentanti di Prussia, Hannover e Russia ottennero il permesso di delimitare l’area del Cimitero, mettendo fine alle continue profanazioni che fanatici e ubriachi perpetravano nel luogo dell’eterno sonno, rendendo evidente l’irregolare disposizione delle tombe, in gran parte influenzata dalla disordinata logica di crescita cronologica.

Ancora lungo le mura Aureliane, guardando le pendici del Testaccio, troviamo il piccolo Cimitero dedicato ad alcuni militari inglesi caduti nella seconda guerra mondiale. Uno spazio erboso, solcato da viali, nel quale sono disposte in file regolari le steli tutte uguali in marmo bianco. Un ordine che stride con il romantico disordine di cipressi e lapidi del cimitero Acattolico.

Il Monte Testaccio non è solo un simbolo per il rione, ma anche luogo al quale si addossano numerosi edifici privati e locali pubblici che lo hanno preso d’assedio e spesso realizzando la sola facciata per ricavare gli ambienti all’interno del Monte. Un paesaggio che trova il suo fascino nella casuale crescita e che veglia su tutto anche sulla solitaria fontana a forma di brocca, poco lontano dal Cimitero Inglese, e che fa da contrappunto a quella dedicata alle anfore.

Un rione, quello del Testaccio, che ha offerto lo scenario per la poetica pasoliniana e per quella di Elsa Morante.

Il Testaccio è anche considerata la culla della gastronomia popolare romanesca, non quella delle fritture e delle specialità giudaiche, fatta delle frattaglie dei bovini macellati al Mattatoio. Una cucina nata dalla pratica di retribuire parzialmente gli operai del Mattatoio con zampe, lingua, code e interiora varie, portati nelle osterie ricavate all’interno del Monte dei Cocci, per essere cucinati e poi mangiati in famiglia. La preparazione complessa e la presenza di sangue non era pratica consigliata nelle anguste cucine delle abitazioni dell’Ottocento, ma più da luciferino luogo alchemico, ed ecco che il bisogno fa di necessità virtù e appare sul panorama della cucina povera.

Ancora oggi, in via di Monte Testaccio, è possibile andare a mangiare, con altri prezzi, la cucina saporitamente grassa, fatta dalla carbonara e dalla gricia, dalla coda alla vaccinara, dalla coratella coi carciofi o con la cipolla, dalla trippa alla romana e dalla pajata, dove la fede giallorossa si mescola al sugo e ai rigatoni.

 

 

Gianleonardo Latini
(3-fine)

 

 

 


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