Mediterranea

NESSUN NOBEL

E' stato un errore assegnare il nobel per la pace a dei politici, non perché non possano meritarlo, ma perché chi si impegna nella politica, sia se eletto o autoproclamatosi l’uomo del destino, deve perseguire la pace per il “suo” popolo e per ogni popolo.
La politica dà i suoi benefici e chi la sceglie come mestiere non dovrebbe essere premiato: magari ringraziato e ricordato, ma non premiato perché fa solo il proprio dovere.
Il Nobel deve essere una prerogativa di chi lavora con chi è ultimo tra gli ultimi, nell’assicurare ad ognuno i suoi Diritti, ad emancipare ogni persona, donna e uomo, di ogni cultura o religione, in ogni luogo della Terra, garantendo un futuro alle prossime generazioni.
I politici hanno il dovere di realizzare un Mondo migliore, perché si ritengono indispensabili e perché spesso i loro bisogni sono i bisogni di tutti.
Il premio per i politici è l’essere eletti e magari anche rieletti, godendo di numerosi vantaggi, entrando in quell’esclusivo club delle “caste”. Un club migliore di quello degli avvocati o dei medici, senza dimenticare quello dei giornalisti e dei professori universitari, oltre a quello dei notai e dei militari: ogni  nazione ha i suoi, l’Italia li ha tutti.
I politici raramente appaiono attivi nel recepire le esigenze dell’elettore, ma poi ci sono delle eccezioni e può capitare di imbattersi in persone come Aung San Suu Kyi che diventano dei simboli per un popolo che brama la libertà o la Ingrid Benacourt che per  sei anni ha vissuto sequestrata nella foresta perché era riuscita ad infondere nei colombiani, schiacciati tra i gruppi delle FARC e dai narcotrafficanti, la speranza di una vita non militarizzata e senza la corruzione dilagante.
È probabile che persone come Aung San Suu Kyi, Michail Sergeevič Gorbačëv e Rigoberta Menchú Tum debbano la vita proprio al premio Nobel.
Riconoscere ad Ingrid Benacourt un impegno per la pace sarebbe potuto servire a salvarle la vita e far finire le sue sofferenze. Ora non è più necessario, un intervento astuto, senza l’uso delle armi da parte di militari, non certo noti per la loro predilezione per i metodi “pacifici”, ha concluso un sequestro di oltre sei anni, portando fuori dalla foresta colombiana non solo la Benacourt, ma anche altri quattordici sequestrati.
Per Morgan Tsvangirai è difficile che un Nobel possa renderlo intoccabile, quando si cerca di sopravvivere nello Zimbawue del padre-padrone Robert Mugabe, dove il potere di pochi è sinonimo di paura, povertà, fame, nell’ex granaio d’Africa.
Con la ricchezza, lo Zimbawue, ha perso la voglia di vivere, deluso dall’approccio soft delle nazioni africane e degli altri continenti verso l’arroganza decennale del suo padrone e la timidezza di proporre un intervento di peacekeeping per esigenze umanitarie.
Il Nobel è un riconoscimento che non sempre è stato assegnato a chi meglio poteva rappresentare lo spirito della Pace e della solidarietà, ma più come incoraggiamento a chi aveva cercato di risolvere i conflitti che aveva inizialmente amplificato.


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