Mediterranea

SPLATTER

Adrenalinico, paranoico, shoccante, il film è un pugno nello stomaco e negli occhi; cattivo, anzi cattivissimo, esagerato, schizofrenico, violento, debordante, elettrico, sboccato come piace a Quentin Tarantino, genio compreso e incompreso, osannato e adesso, dopo le accuse di banalità al cinema italiano, un poco odiato. Tarantino ama stupire e senza dubbio ci riesce sempre, nel bene e nel male, qui meno bene delle altre volte. In “Grindhouse – a prova di morte” sono di scena stuntman pazzi scatenati il cui unico assurdo divertimento è correre alla guida di un bolide usato come arma per ammazzare; belle ragazze che, ignare vittime del folle assassino, ancheggiano ritmando il sedere burroso e sensuale sulle note di una lap dance diffuse da un juke box; donne toste, sfrontate e sboccate che aggrappate al cofano della macchina si trasformano in spietate vendicatrici. E poi potenti auto truccate e con tanto di teschio in bella mostra, rombi ossessivi di motori, micidiali trappole nascoste, bocche ghignanti, urla bestemmie, spranghe, pistole e cazzotti. E ancora scontri violentissimi con pezzi di carrozzeria saltati per aria mescolati a macabri arti umani, il tutto condito con il rosso del sangue schizzato qua e là mentre le orecchie scoppiano per il suono reso ancora più assordante e infernale dal Dolby digital surround. Benvenuti a Grindhouse signori, al Luna park degli orrori, al sofisticato crash – slasher movie dove crash sta per scontro e slasher per killer psicopatico. Ce n’ è per tutti i gusti, shakerato e servito, se si è forti di stomaco; l’effetto è assicurato e come! Inevitabilmente tutto ciò fa parte del giocattolo spettacolare made Tarantino che con “Pulp fiction” e “Kill Bill” ha firmato veri capolavori. Questa pellicola, come lo stesso regista ha sottolineato, vuole essere un omaggio ai film di genere cioè ai B-movie degli anni sessanta – settanta e ai Grindhouse dell’epoca, le sale cinematografiche di periferia che proiettavano film senza ambizioni artistiche del genere splatter piene di sesso e di sangue. L’intenzione forse è tutta lì, ricreare quelle atmosfere, che però non giustifica una firma altisonante al servizio di un prodotto riuscito a metà. Girato on the road il film, brillantissimo nei colori, contrappone momenti di tensione e azione con montaggi velocissimi a lunghe sequenze statiche e prolisse a prova di sbadiglio; lo strano contrasto non convince. Un incastro di gioco al massacro e noia piuttosto stridente. Che Tarantino sia un maestro nella regia è fuori discussione, il suo stile surreal ironico e la sua tecnica sono geniali; molti hanno cercato di imitarlo ma i risultati restano appunto pallide imitazioni. Con la macchina da presa il regista americano è un mago, riesce a creare l’impossibile. Temerario, innovativo e modernissimo rappresenta una pietra miliare nella storia del cinema; originale, eccentrico, rivoluzionario ha talento da vendere, l’energia vitale di un ciclone. In questo suo ultimo film però qualcosa non ha funzionato. Ripetitivo e monotono nel linguaggio scurrile “Grindhouse” abbonda di dialoghi (molto curati negli altri film) troppo lunghi e noiosi che sarebbe stato meglio tagliare a beneficio della storia, tanto i personaggi erano comunque perfettamente caratterizzati e niente sarebbe stato stravolto. Degna di nota l’ottima interpretazione di Kurt Russel nei panni dello schizzato stuntman Mike un violento che nasconde paure infantili dietro il volto segnato da una profonda cicatrice. Confezionato, come era nel progetto originale, per stare in coppia con un’altra pellicola (“Placet Terror”diretta dall’amico e alter ego Robert Rodriguez), il film di Tarantino “Death proof” ridotto nelle sequenze per ragioni di tempo forse ne usciva migliorato. La somma dei due lungometraggi si intitola semplicemente “Grindhouse” e in America è uscito in questa versione uniblock. Così come è approdato in Italia risulta poco digeribile.

Ester Carbone


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