|    TROPPO TOTO' 
                    Fra “totòlogi” e  “totòspecialisti”, “totòmamaci” e “totòtutto”, nell’imperante e dilagante  quotidiana necessità di rivalutare l’opera e l’arte del principe de Curtis,  lasciate che dica una parola chi, col diritto del “totòlogo” ante litteram  (“ante marcia” direbbe lo stesso Totò) si arroga oggi la necessità di un po’ di  buon senso. Nessuno più di me ama ed ha amato il buon Totò, prima che fosse  moda culturale vezzeggiarlo nei salotti “buoni” o nei colti simposi; l’ho amato  in calzoncini corti nei cinema di paese, su sgangherate sedie di legno, l’ho amato  negli anni difficili dell’adolescenza, nascondendolo quasi come un vizio  segreto, irriso e sbeffeggiato da chi lo riteneva (un’altra moda!) vieto,  volgare, plebeo. 
                      Ah, quanta nobiltà invece,  antichissima anzi arcaica, dietro quella faccia e quelle smorfie! Ho amato Totò  quando quasi tutti ne parlavano male. Devo molto a quest’ometto che (non  esagero) mi ha aiutato a sopportare l’amarezza e il dolore di crescere e di  accettare la realtà. 
                      Rivendico la mia priorità  assoluta nell’averlo valutato prima d’ogni rivalutazione, d’averne carpito limiti  e pregi prima che si rovesciassero su di noi intere biblioteche di totòlogi  pentiti. Scrissi di Totò il 15 Aprile del ‘67 un accorato necrologio che fa  fede di quel mio amore vero (forse un giorno ve lo propinerò per intero):  scavai con le unghie in quella grassa terra mediterranea che l’aveva nutrito e  che lo conteneva, evocai i fantasmi reconditi delle farse “atellane” e i guitti  della Commedia dell’Arte, pirandellianamente sviscerai il senso delle sue risa  e delle sue lacrime in rissa sul mobile campo della sua maschera grottesca. Per  questo, solo per questo, posso e debbo arrogarmi il diritto di dire BASTA! 
                    Basta con le galoppanti  rivalutazioni che han travalicato il senso della misura, basta con i ruffiani  cantori, i critici accodati, “attruppati” negli squadroni assordanti e molesti di  “totòlogi” a tutti i costi. Basta con le iperboli assurde, con le esagerazioni  da gazzettieri, con le medaglie ad memoriam dei mezzani culturali! Chi ieri  disprezzò Totò abbia il buon gusto di defilarsi nell’ombra di chi ammette i  propri errori senza sbandierare amori postumi ed eccessivi. Le donnette e gli ometti  che lo amarono e lo amano ancora (come me) pongano un freno alla  divinizzazione, agli altari, agli archi di trionfo per un uomo che, riflessivo  e malinconico com’era, per primo avrebbe avuto orrore di tanto rozzo clamore.  Continuiamo ad amare Totò in silenzio, discretamente, a coltivare il riso e la  pena delle sue migliori farse, dove ci insegnò l’arte di esorcizzare con  l’amaro, sapido sorriso le crudeli, squallide necessità dell’esistere. Troppa  luce, troppo rumore per un uomo che amò la discrezione e i mezzi toni dettati  da antica saggezza. Non tirate giù santi e condottieri, basta con i  pellegrinaggi e le statue (brutte), basta con i “plauditores” che oggi lustrano  le scarpe a un Totò che spudoratamente ignorarono da vivo. Basta con gli opportunisti  della massificazione che seguono come iene affamate le tigri delle mode  culturali, per rubare brandelli di notorietà, per reggere stendardi che non gli  appartengono. Ad essi vada lo ieratico, implacabile sputo nell’occhio che Totò  immancabilmente elargiva al “fanatico” di turno! 
                    Luigi M. Bruno 
                  da ORIZZONTI 1998- 1999 (Dicembre-Gennaio)                      |