|    TROPPO 
                      BELLO PER ESSERE VERO 
                      Atto 2 
                     Troppo 
                      bello per essere vero.  
                      Ovvero, ingannevole è l’autore sopra ogni cosa: 
                      J.T. LeRoy non esiste. Stranamente, la notizia è 
                      passata quasi inosservata sulle pagine dei media italiani, 
                      e invece vale la pena di approfondire.  
                      Ma andiamo per ordine: Jeremiah ha solo quattro anni quando 
                      scopre che i suoi veri genitori non sono quelli, amatissimi, 
                      che lo hanno cresciuto fino a quel momento: la sua vera 
                      mamma è Sarah, una ragazza ancora adolescente che 
                      ora ne ha ottenuto la tutela e che lo coinvolge in una vita 
                      diversa: fa la prostituta per i camionisti, vive in roulotte 
                      e il traffico di uomini nel letto provoca al ragazzino i 
                      primi traumi. Cresce picchiato dalla mamma e dal patrigno, 
                      che lo obbligano a dodici anni a travestirsi da donna e 
                      a dare il suo corpo ai camionisti: iniziato al sesso a pagamento 
                      e alle orge, drogato, violentato, affidato ai nonni, divenuto 
                      omosessuale, poi transessuale ed ora anche sieropositivo, 
                      trova però la forza di scrivere.… Stiamo parlando 
                      di Ingannevole è il cuore sopra ogni cosa, da noi 
                      uscito nel 2002 per i tipi di Fazi e divenuto nel 2004 un 
                      film diretto da Asia Argento. Sia il libro che il film sono 
                      ben fatti e si sono guadagnati il favore sia della critica 
                      che del pubblico. Dello stesso scrittore erano apparsi anche 
                      Sarah ed Harold’s End, scritti rispettivamente prima 
                      e dopo il noto capolavoro. Ma esattamente un anno fa il 
                      New York Times scopre la truffa: lo scrittore adesso venticinquenne 
                      non esiste, è stato creato a tavolino da due vecchie 
                      volpi, Laura Albert e Geoffrey Knoop, i due musicisti falliti 
                      che nel libro lo adottano e lo portano in terapia dal dottor 
                      Terrence Owens di San Francisco, che lentamente gli suggerisce 
                      di usare la scrittura per superare i traumi della sua infanzia 
                      negata. Dennis Cooper, autore di riferimento per chi racconta 
                      storie estreme di marginalità, è il primo 
                      nome importante ad accorgersi di lui. In breve si forma 
                      una sorta di lobby di fan famosi alla quale aderisce con 
                      entusiasmo Asia Argento. Ma la cosa paradossale è 
                      che ad accorgersi del falso non sono stati i pur smaliziati 
                      critici letterari del New York Times, ma il suo ufficio 
                      amministrativo: dai conti dell’albergo parigino dove 
                      lo scrittore e i suoi due fedeli accompagnatori erano stati 
                      inviati come corrispondenti… mancava una persona. 
                      E pare ormai certo che a presentarsi alle rare uscite pubbliche 
                      – Massenzio compresa – era Savannah Knoop, la 
                      sorellastra del falsario, sempre schiva e coperta da occhiali 
                      scuri. 
                      E qui riviene fuori ancora una volta la caratteristica principale 
                      del falso: il suo essere quasi sempre eccessivo. A leggere 
                      la trama del libro di LeRoy, uno si chiede: e che altro 
                      manca? Se non vado errato, anni fa una giornalista del Washington 
                      Post si guadagnò e poi dovette restituire il premio 
                      Pulitzer per un reportage su un bambino nero drogato dei 
                      ghetti della capitale. Stranamente il suo lavoro non era 
                      stato ricontrollato da un giornalista anziano, ma a muovere 
                      i primi dubbi furono gli stessi abitanti del ghetto, che 
                      si improvvisarono detective e ricontrollarono tutti i dettagli 
                      del caso. Qui invece Dennis Cooper non si chiese perché 
                      quel ragazzo quindicenne che viveva per strada cercava proprio 
                      lui e, ovunque andasse, si portava dietro un fax, lo collegava 
                      nei posti più strani e gli spediva fax in continuazione. 
                      Fu lui a introdurre lo scrittore a Courtney Love (vedova 
                      di Kurt Cobain dei Nirvana), a Tatum O’Neil, alla 
                      cantante Suzanne Vega, all’attrice di Star Wars e 
                      scrittrice Carrie Fisher: tutte celebrità abbindolate 
                      dal «caso pietoso» con un’operazione di 
                      autopromozione degna del miglior esperto di pubbliche relazioni. 
                      Ma siccome nel mondo del rock l’eccesso è la 
                      regola, nessuno ha mai messo in dubbio l’autenticità 
                      del libro. A million little pieces, l’autobiografia 
                      di James Frey che ha venduto oltre tre milioni di copie 
                      grazie anche al sostegno entusiasta di Oprah Winfrey, nota 
                      conduttrice americana di un talk show, è in gran 
                      parte inventata, fatto questo evidentemente di non secondaria 
                      importanza dal momento che si tratta del racconto dettagliato 
                      della vita di ex tossico, alcolizzato, carcerato e criminale. 
                      Ma i White Stripes hanno raccontato al mondo di essere fratelli 
                      e sorella quando poi sono stati invece marito e moglie. 
                      A imporre la verità e l'aderenza alla vita reale 
                      come garanzia artistica è stato l'hip hop. I rappers 
                      hanno biografie piene di armi, droga, tribunali e patrie 
                      galere. 50 Cent e The Game hanno avuto grande spazio sui 
                      media grazie al fatto di essere stati coinvolti in sparatorie. 
                      Eminem sta per risposare la moglie insultata nei suoi rap; 
                      Clipse, altro rapper, è stato anche spacciatore di 
                      crack. Arrivati a quel punto, anche LeRoy può essere 
                      credibile. 
                      Ma di falsi manoscritti è in fondo piena la letteratura, 
                      mentre di falsi autori non v’è tutto sommato 
                      abbondanza. Un conto è il gioco letterario, la finzione 
                      autobiografica sempre un po’ bugiarda, altro è 
                      il falso deliberato per fini commerciali e mediatici.  
                    Ma davvero nessuno si era accorto della ghiotta 
                      trappola? Ebbene sì: Joy 
                      Press, redattore del Village Voice, un giornaletto di strada 
                      newyorchese, intervistò “LeRoy” nel 2001, 
                      per giungere a conclusioni così riassumibili: troppa 
                      roba insieme, può anche essere un falso, ma è 
                      scritto proprio bene. 
                    Marco Pasquali 
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