I colori dell'anima - Modigliani

Titolo originale: Modigliani
Nazione: U.S.A., Francia, Germania, Italia, Romania, Regno Unito
Anno: 2004
Genere: Drammatico
Durata: 128'
Genere: biografico,storico
Regia: Mick Davis
Sceneggiatura: Mick Davis
Scenografia: Luigi Marchione, Enzo Forletta
Fotografia: Emmanuel Kadosh
Costumi: Pam Downe
Musiche: Guy Farley
Montaggio: Emma E. Hickox
Produzione: André Djaoui, Philippe Martinez, Stéphanie Martinez

Cast:
Andy Garcia, Elsa Zylberstein, Hippolyte Girardot, Omid Djalili, Udo Kier, Eva Herzigova

Sito ufficiale:
www.modiglianithemovie.com

Sito italiano:
www.luce.it/istitutoluce/film/modiglianisito

Pablo Picasso: Omid Djalili
Moglie di Picasso: Eva Herzigova
Max Jacob: Udo Kier
Maurice Utrillo: Hippolyte Girardot
Jeanna Hebuterne: Elsa Zylberstein
Amedeo Modigliani: Andy Garcia

Distribuzione: Istituto Luce
Data di uscita: 13 Maggio 2005 (cinema

I COLORI DELL’ANIMA

Arduo problema raccontare vita e misfatti di celebrati artisti: facilissimo scivolare dal biografismo di colto documentario all’abisso del coloratissimo folclore.
Pochissimi o nessuno è sfuggito alle pompe e ai melodrammi di troppi “acuti” e di cruente esibizioni che vorrebbero essere drammatiche e sono solo buffe “burattinate”. Se poi si pretende di raccontare la breve meteora del genio e sregolato Modiglioni (sesso, sangue, alcool, droga e tisi) non se ne esce più: la ragnatela del pasticciaccio celebrativo, del martirologio patetico avvolge qualsiasi umana figura e ne fa una marionetta sbavata di ridicoli luoghi comuni. E sì che Andy Garcia la faccia giusta forse ce l’aveva! Ma che ne dite del pingue e antipatico Picasso? Dei quasi dementi Utrillo e Soutine (il mio Soutine!) ridotti a bestie alcoolizzate?
Altro che pennello! Qui si usa il rullo compressore: tutto schiacciato e ridotto a figurina da enciclopedia a fumetti. Ma non c’è un attimo di tregua, come nell’opera dei Pupi sono piramidi di sventure, Sodoma e Gomorra di un “maledettismo” da anticamera hollywoodiana, tutto spiegato con l’abuso e l’eccesso: le mazzate si susseguono fino al gratuito massacro finale del povero Modì lasciato agonizzante sotto la neve (per non aver pagato il conto!) come da punizione mafiosa. Il derelitto comune spettatore, legato e imbavagliato all’isterico “feuilletton” è costretto a trangugiare beveroni di lacrime, assenzio e sangue da cui si convince che genio e poesia sono una maledizione biblica, una tara irrimediabile che condanna l’artista ad un ergastolo di violenza e sudiciume intollerabile, fino a che la galoppante tubercolosi ci sbarazza di tutto il folle carrozzone e ci lasciano finalmente soli con i muti ed espliciti capolavori. Forse l’unica “figurina” curiosa ed arguta è il vecchio Renoir con le sue mani deformate dall’artrosi e i suoi occhi da antico fauno.
Al regista Mick Davis, coraggioso fino all’incoscienza, auguriamo future biografie di mediocri sconosciuti: c’è già tanta vita (se si sa cercare) nella più comune delle esistenze!

Luigi M. Bruno