Sabato-domenica-lunedì

Sono a Narni, da solo. Questo mi dà un senso straordinario di benessere. Sia perché mi dà un senso di benessere immediato, palpabile (fumo meno, bevo meno, mi muovo, respiro ossigeno tutto il giorno) sia perché qui, più che in qualsiasi altro posto, sento di avere realmente un referente sociale. Che non mi riempie, che non è mio, però, e quindi mi ci posso appoggiare. E a un certo punto ho capito una cosa: che il mio dedicarmi a lei, quello che all’inizio immaginavo fosse un aver raggiunto la capacità di dare senza chiedere, altro non era che la possibilità di appoggiarmi a qualcuno, di vivere attraverso qualcuno, nel momento in cui io non avevo più nessuna vita; in cui la mia vita era morta, disseccata; o forse semplicemente stanca. E in questo c’è ovviamente qualcosa di autoritario, di repressivo, impadronirsi di una vita e crescerla, come sostitutivo della propria. Mi viene in mente un passaggio di Inconnu: «presta la tua forza alla mia estrema debolezza... ». Mi viene in mente anche un passaggio di Arancia Meccanica: «Almeno, è buono ?!!». Per questo, ho provato questo empito di gelosia, quando l’ho vista «star bene», perché era uno star bene che non dipendeva da me, e che invece dipendeva da un altro.
Se Susanna vuole andare a vivere con David, devo accettarlo. Se Susanna vuole andare a vivere con David, e nello stesso tempo mantenere un piede a casa mia, per sua autonomia, devo accettarlo. Amo Susanna. Perché lei ha la forza che io non ho. La forza di portare fino in fondo i suoi processi distruttivi, e poi risorgere. E anche perché lei ha un figlio che io non ho. Ha avuto il coraggio di farlo, di dare. Voler impadronirsi di questa forza.
Questo rapporto, iniziato come un rapporto di solidarietà, è diventato un rapporto di sanguisuga. Avrebbe potuto diventare un rapporto di vampiro. Lei me lo disse una volta, mentre io mi occupavo di lei: «Ma tu, non hai nessun bisogno?». Dare senza avere il coraggio di prendere, per il solo gusto di avere la sensazione di saper dare, e quindi di sentirsi vivi per questo, è la cosa più oscena che ci sia. Mi sono sbagliato. Io non sono stato figlio, ma padre. Un padre destabilizzato e insecurizzato. Dio insicuro — sterile. Per questo l’aggressività e il nervosismo (e l’autoritarismo) — e il rancore, l’accidia verso la sua indipendenza — che accompagnava ogni mio atto di date, ogni sacrificio di me. Il mio scudo.
Susanna scudo verso la vita. È inutile chiederle amore in queste condizioni: sarebbe falso.
È come se non fossi mai nato.



tratto da
Manuale di autodistruzione
di Carlo Bordini
Fazi Editore, 1998