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Pirro Ligorio
LIBRI DELLE MEDAGLIE DA CESARE A MARCO AURELIO COMMODO
Con saggio introduttivo di Patrizia Serafin Petrillo
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Elettroni contro Materia

Quando vedo mia nipote che sente la musica in cuffia dopo aver immagazzinato in una scatoletta migliaia di brani in MP3, penso alla discoteca di mio padre, intatta a dieci anni dalla sua scomparsa.
E quando vedo l’altro nipote che invece di leggere libri cerca tutto e subito in rete col suo IPhone, dimentico per un attimo il mio incubo quotidiano di bibliotecario e bibliofilo, ossessionato come sono dal problema dello spazio saturo.

Purtroppo sono nato nel Novecento e non riesco ancora a fare a meno della carta, del vinile e di altri supporti materiali, anche se nel lavoro e nella vita privata uso normalmente le tecnologie attuali. Ai nostalgici che continuano polemicamente ad elogiare il piacere che prova il polpastrello a scorrere la pagina stampata rispondo ironicamente che il feticismo è una perversione.

Nella realtà una cosa è la consultazione, altro la lettura personale. In quest’ultimo caso preferisco anch’io il libro all’e-book, i cui dispositivi di lettura sembrano finora progettati da tecnici che di libri ne leggono proprio pochi. Ma al momento di accendere il giradischi e abbassare la puntina nel solco del disco mi sento tagliato fuori, come se usare una tecnologia superata mi provocasse un’irrefrenabile melanconia. Non è il disagio che proverei davanti ai nipoti – anzi, sono curiosi di vedere come si viveva una volta, ma quel senso storico di fronte ai ricordi. I dischi in vinile fermano il loro repertorio ai tempi in cui tu eri studente e i VHS che ho registrato per anni si dimostrano per quello che sono: film che non ho più il tempo né la voglia di rivedere, bombardato come sono da immagini e audiovisivi di ogni genere. E non riesco più a rivedere una commedia dove il protagonista cerca disperatamente una cabina telefonica: è assurdo.

Ma a parte questi dettagli, qual è il vero problema? In fondo queste nuove tecnologie fanno guadagnare spazio ed efficienza e fanno anche risparmiare materiali, energia e altro. Oltretutto le case sono piccole e gli uffici pure. Ebbene, il vero problema lo pongono gli oggetti non ancora comprimibili: ma di cui abbiamo piene le case e gli uffici. Nelle case degli italiani ci sono milioni di macchine fotografiche, cineprese superotto, registratori a nastro, proiettori e lettori perfettamente funzionanti ma ormai inutilizzati e privi dei pezzi di ricambio. In ufficio impiegheremo ancora qualche anno per mandare al macero tonnellate di carta scritta e archiviata.

Possiamo anche buttare le radio a valvole, i libri vecchi, i dischi in vinile, l’enorme impianto stereo anni ‘80, e chi più ne ha più ne metta. Ma resteranno sempre tanti beni materiali insostituibili o comunque da conservare: mobili, quadri, ricordi personali, servizi da tavola, indumenti. In più il calo demografico ha fatto convergere verso singole famiglie l’eredità delle zie, con il bel risultato di moltiplicare i servizi di porcellana, le argenterie, i cristalli, le poltrone, i quadri di genere, i mobili. Per qualche anno ce li siamo rivenduti nei mercatini di quartiere borghese, ora con l’aria che tira li accettano solo in conto vendita. Argento e oro si vendono, il resto te lo tieni o lo butti.

E qui c’è da divertirsi: a girare per cassonetti c’è di tutto: lampadari, spartiti musicali, pellicole cinematografiche, interi archivi di uffici commerciali (pieni di dati sensibili, n.b.), televisori e videoregistratori, computer completi di stampante. Per saperlo non c’è bisogno di infilare il naso dentro il cassonetto: basta osservare rom e romeni che con i loro carrettini pescano con l’uncino e svuotano tutto per terra per la quotidiana puntata di Uomini e topi. Prima qualcosa recuperavo anch’io – vecchie radio, spartiti musicali – ma ora dovrei essere un loro concorrente e non ne ho il coraggio: si direbbe che la vera differenziata la fanno loro. Alcuni di loro poi sembrano veramente fuoriusciti da Auschwitz.

A questo punto mi chiedo come ho fatto a vivere un anno e più di servizio militare dovendo far entrare tutto dentro un armadietto di metallo. Quando dico tutto intendo esattamente: divise, equipaggiamento, anfibi, abiti civili e quel poco che potevo tenere di mio: una radiolina, qualche libro, una macchina fotografica, una scatola di ricordi e di piccoli attrezzi, carta e penna, un diario, qualche fotografia, qualche alimento extra mensa e infine l’occorrente per la cura del corpo: rasoio, sapone, spazzolino e dentifricio. Eppure ero felice e non sentivo il bisogno di altro.

 

 

Marco Pasquali
gennaio - febbraio 2014
 

 

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