BALLERINA  INGLESE
                     
                 
                  di  Nero di Penna 
                     
                    
                  O  se preferite, Nero di Seppia.  
                  Infatti  la Ballerina inglese è un tipo di  barca da diporto diffusa dagli anni ’50 ai primi anni ’60, e se per questo c’è  pure la Passera istriana (1).  
                  Ormai ci vivo da tre mesi: sfrattato,  ho accettato la proposta di un mio amico: mi permette di vivere fino a maggio dentro  il suo cabinato, ormeggiato in quel di Fiumicino, con l’impegno di fargli da  guardiano e curare la manutenzione dello scafo.  
                  A fine settembre, in Italia, la  maggior parte delle barche – bianche, tutte uguali, stampate in vetroresina - finisce  ormeggiata e lì resta fino a marzo, quando la gente ricomincia a uscir per mare,  e molti sono gli skipper che d’inverno campano tenendo in ordine le barche  degli altri.  
                  Nessuna legge vieta di vivere in barca, anche se lo fanno in  pochi: dove si atterra ci si registra alla Capitaneria di Porto mantenendo  comunque residenza e domicilio da qualche parte (2).  
                  Ho comunque una patente nautica entro le sei miglia, anche se  navigo poco, e con la mia esperienza so anche come mantenere una barca di legno  nei mesi invernali.  
                  Per chi non abbia chiaro come si vive a bordo, dirò subito  che lo spazio non è molto.  
                  Ho letto di professionisti che abitano realmente in  una barca ormeggiata in porto, ma parliamo di scafi dai 12 metri in su, non di  un 6 metri dove dovresti far entrar tutto.  
                  Anche se per diporto ci vanno in  giro famiglie intere, spesso si litiga.  
                  C’è un vano triangolare chiuso a prora  - il gavone di prora - e lì possono dormire anche un paio di persone, quando  non è occupato dai sacchi delle vele e allora si chiama cala di prora.  
                  Il resto  dello spazio interno va diviso tra due cuccette-divani lungo i lati di uno  spazio oblungo, dove ci devono entrare anche il cucinotto, il tavolo di  carteggio, un ripostiglio e almeno un armadietto o qualche mensola. In più, il  bagno (3). Il resto è coperta, ed è  proprio lo spazio esterno a permettere la vita di bordo: ci si sfoga vivendo in  mare e non certo stando chiusi in una scatola.  
                  Quando stai in barca vivi poco  sottocoperta e molto invece sopra: la vela ti tiene sempre impegnato, preso  come sei da drizze e manovre e turni al timone. Il tempo che si passa  sottocoperta è dunque tollerabile perché breve.  
                  Tutto questo lo dico per  illustrare la mia nuova, strana situazione: io ero un naufrago in porto, ma la  rinuncia a tutto ciò che avevo in casa alla fine l’ho vissuta come una  liberazione e non come un sacrificio.  
                  Dimenticate guardaroba, mobili e  soprammobili, stoviglie ed elettrodomestici; vendetevi i libri che non leggete.  Ricordatevi della naia, quando nell’armadietto di metallo doveva entrarci  tutto.  
                    E sappiate che se una barca è vissuta, gli interni non somigliano mai a  quelli delle riviste di nautica: ci si muove, si occupa spazio; un oggetto  fuori posto si nota subito e nessuna barca è pulita come al Salone nautico.   
                  L’umidità poi va tenuta continuamente a bada. Così infatti scriveva Patrick  Ellam, mentre il suo sloop “Sopranino”  di sei metri usciva dalla Manica diretto a Plymouth, alla partenza della regata  di Santander: 
                  
                    -      “Due  buone cuccette asciutte, due stufe, un gabinetto, una tavola per carteggiare,  provviste abbondanti. Cosa può desiderare di più un marinaio?” (4)                  
 
                    -     Ma chi pensa che io abbia rotto i ponti con  la civiltà è un ingenuo: intanto sono ormeggiato a Fiumara Grande e non  sull’isola deserta (5). Sto davanti all’ Isola Sacra, formata dal delta del fiume Tevere durante i  secoli ed ora ampiamente (e abusivamente) urbanizzata. A parte una cassetta di  metallo dove tengo i documenti e i ricordi personali (6), ho un cellulare e un portatile con chiavetta, in più da  qualche parte verso il porto canale dev’esserci un internet point. Qui è pieno  di antenne Gomex per vedere la tv a bordo, ma io me la vedo al bar. Ho invece  una buona radio e chi mi conosce sa che io l’ascolto anche di notte. In più c’è  la radio VHF di bordo per le comunicazioni in mare, e solo a tenerla accesa si passa  la serata. Ma non sono un eremita, anche se per ora mi sono semplificato la vita. Al  limite, dovrei  cercarmi un lavoro. Ma  cosa? Troppo bello sarebbe lavorare in un cantiere nautico, ma finirò per fare  il cameriere in un ristorante. Posso comunque sperare di lavorare come  traduttore o interprete per qualche ditta, ma ancora non conosco nessuno, le  giornate sono piovose e non mi va certo di star sempre a bordo a riparare gli  stralli e il timone. Controllo sempre il livello degli accumulatori, ma per il  resto il lavoro è poco. La mattina presto quindi mi metto in tuta e corro sulla  spiaggia dopo il Faro, dopo aver fatto colazione. Il cantiere per il nuovo  porto turistico con la buona stagione diventerà un vivaio di zanzare, ma siamo  a febbraio. A quell’ora non c’è nessuno, mi sento libero. La sera invece il  tempo lo passo leggendo, scrivendo,  cucinando. E’ bello leggere libri di viaggio stando in barca, anche se è  ormeggiata.
 
                    -     Già, i libri. A bordo la solita roba: il Portolano del Mediterraneo, il Libro dei fari, un manuale per velisti e  quello di Mursia sulla manutenzione della barca (7), l’unico per ora da  studiare sul serio. Gli altri – una dozzina – li ho portati io, alcuni  sono normali romanzi, ma a bordo il mio libro preferito resta la Storia della navigazione di Hendrik van  Loon, uno scrittore olandese una volta molto popolare in Italia. In più, sono  un fan di Larsson e della sua Saggezza  del Mare (8). Lui e sua moglie hanno  navigato per mari dove un italiano neanche si azzarda: le Ebridi esterne e il  Mare del Nord coi suoi stretti. E soprattutto, vivevano in barca. Ma una barca  dove si voglia vivere dovrà presentare precise qualità, caratteristiche adatte  per la vita a bordo. Per quanta passione si possa avere, non credo sia  umanamente accettabile pensare di vivere in un barchino a vela di 6 metri. Io lo  faccio, ma per necessità. In barca, per ogni metro di lunghezza in più si  acquista un volume abitativo di almeno 2.5 volte tanto, e questo conta molto.  Ora, la “mia” barca basta appena per le mie  esigenze, eppure girano ancora minuscoli cabinati chiamati pivieri, dal nome di un simpatico uccellino. Sono un residuo della nautica per tutti, del sogno di poter  armare un proprio piccolo cabinato da diporto, di poterci navigare durante  l'anno, di portarci gli amici, la famiglia, i figli. Un sogno che, se non è già  finito, ha le ore contate: per undici mesi di terra ed uno di "boa"  si spendono 1500 euro. Se poi si pretende un posto barca in una marina decente,  con qualche servizio in più rispetto al nulla, con bagni e doccia (utile  proprio per armatori di barchette), con un posto dove mangiare, si spende  almeno il doppio. Ed in questo conto non si include la carena, l'ordinaria  manutenzione, e tutto quello che ne consegue. In nautica tutto costa caro, dai  materiali alla manodopera specializzata. Non è dunque il costo della barca in  sé: al prezzo di una macchina usata si compra un cabinato di otto metri; il  problema è il costo per mantenerlo, senza gravare troppo sul bilancio  familiare, senza pentirsi di questa sana passione, senza litigare con la  moglie, con i figli, con i genitori, con se stessi. Ma se il costo per  mantenere un cabinato di sei metri è più o meno lo stesso di quello per uno di  dieci, dove sta la convenienza? Perché allora affrontare il mare con sei metri,  stando scomodi, senza spazio a bordo dove stivare la roba? Perché non poter  portare in crociera la famiglia al completo o gli amici? Cosa rimane, tolta la  filosofia? Forse la bellezza dell'andare per mare a vela? Ma allora comprati  una deriva, oppure iscriviti a un circolo nautico o frequenta gli amici con la  barca, oppure pensa a un charter; insomma esistono tante occasioni che  permettono di vivere il mare senza pensieri.
 
                   
                    -     A un paio di chilometri verso il mare  aperto c’è il vecchio Faro, e ne ho anche una cartolina: costruito nel 1953 e  alto 30 metri, con una portata di 28,5 miglia. Ormai è da molti anni in stato  d’abbandono, ma nella cartolina c’è addirittura la dicitura “Nuovo Faro”. Una  decina d’anni fa fu pure occupato per protesta, come riporto da un giornale  d’epoca:  2005 Venerdì 23 settembre, alle ore 14 il  Comitato Cittadino di Fiumicino ha proceduto all’occupazione simbolica del  faro. Il Comitato intende richiamare l’attenzione delle autorità e forzarle ad  intervenire per la riqualificazione del luogo storico oggi lasciato al degrado,  e alla mercé di tossicodipendenti. Ecco il comunicato emesso in serata:     Venerdì 23/09/05 il comitato Salvaguardia  di Fiumicino ha occupato simbolicamente il vecchio faro. Il comitato  formato da numerosi giovani del litorale, denuncia lo stato di abbandono e di  degrado nel quale e' stato lasciato quello che possiamo definire il simbolo del  comune di Fiumicino. Dopo una faticosa trattativa con P.S. C.C. e  particolarmente con la Capitaneria di porto (proprietaria dello stabile, i  quali si sono presentati con tanto di motovedetta, elicottero,e fanti di marina  in tuta mimetica) i ragazzi l'hanno spuntata, montate le tende issati i  tricolori ci si e' preparati alla notte.. Inutiledire che poi dei vari progetti non se  ne è fatto niente. (Nota folcloristica: alcuni fanti di marina accorsi per  sgombrare il faro erano tatuati con lo stemma della Decima MAS, e sono tornati  la notte per scusarsi).
 
                   
                    -    Ma dal Faro in giù che c’è? Seguendo Fiumara  Grande, solo case basse e abusive, recinti e steccati dappertutto. Un paio di  buoni ristoranti: Lilly a via del  Passo della Sentinella e Gina a via  Costalunga, presso il Porto Romano Yacht Club Tevere, ma il resto è squallido.  Dalla barca almeno si vedono i cantieri navali, i circoli nautici, le  imbarcazioni ormeggiate. Quando poi a febbraio ha diluviato sul serio, sappiamo  bene com’è andata: tanto valeva davvero vivere in barca, anche se è frustrante vivere in  una nave che deve star ferma in porto anche se è capace di andar per mare,  mentre c’è gran traffico di natanti a vela e motore che entrano ed escono in  mare. Posso divertirmi ad ascoltare alla radio le comunicazioni con la  capitaneria di porto o fra skipper, ma resto sempre ormeggiato al solito palo.  Provo a immaginare il contrario:
 
                 
                    -    "Corto  assaporava il salmastro dell'Oceano e lasciava che il suo sguardo si perdesse  in quel livido orizzonte dove c'era posto per tante vite e per tanti sogni  diversi. Amava quei lunghi silenzi e le immense distanze: non c'erano confini  segnati, e i porti servivano solo per riposarsi prima di riprendere il Viaggio..."      (Hugo Pratt, Una Ballata del Mare salato)
 
                    -     
 
                    -     Anche se non posso prendere il largo, lo  faccio dunque con la fantasia.  Se vuoi costruire  una nave, non radunare gli uomini per raccogliere il legno e distribuire i  compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito. Lo ha scritto Antoine de Saint-Exupéry, l’autore del Il piccolo principe. E’ per questo che  Ulisse non riesce mai a star fermo, né sull’isola di Calypso, né a casa  propria. E’ per questo che ho accettato volentieri l’offerta del mio amico  quando ho perso casa. Ma posso sognare qualcosa soltanto quando il mare  è agitato. A quel punto posso immaginare di stare in mezzo ai flutti,  sballottato nella tempesta, in attesa di un calo del vento o delle onde. Ma si  può viaggiare da fermi? Sicuro: l’hanno fatto decine di scrittori, l’hanno  fatto decine di registi. Penso al grande regista portoghese Manoel de Oliveira  e alle sue creazioni cinematografiche, penso ad Emilio Salgari che non ha mai  navigato. Penso anche ai libri di viaggio inventati, che circolavano assieme a quelli  realmente frutto di esperienza… si tratta solo di saper scrivere in modo lirico  ed epico allo stesso modo. E saper evocare. Ecco per esempio un brano che ho  rubato da un blog:
 
                    
                    -     Quel viaggio era il sogno  della mia vita, fin da quando il capitano Carlos de Casso, uomo di mare che  aveva preso il largo a soli quattordici anni, una volta doppiato Capo Horn in  rotta per le Galapagos, mi aveva parlato con tale entusiasmo dell'isola del  Morto, all'imboccatura del golfo di Guayaquil, che ero rimasto ammaliato dal  suo racconto. De Casso morì mentre revisionava il telaio di poppa della goletta  che si stava facendo costruire a Valparaiso, probabilmente con l'abituale  passione che lo contraddistingueva. La sua improvvisa scomparsa avrebbe  lasciato in sospeso per sempre il viaggio alle isole che progettavamo di  compiere insieme... Che dire? C’è tutto: un viaggio fatto, uno progettato,  un’interruzione nel percorso di una vita.                  
 
                    -      Guardando il mondo da un oblò, mi annoio un po’… già, ma cosa fanno la  sera sulle altre barche? Nel porto di Traiano c’è un po’ di vita soprattutto  sui motoscafi d’altura, ma per il resto il porto canale si anima solo il sabato  e la domenica. I pescherecci sono altra cosa, ma quelli tornano al tramonto e  nessuno resta a dormire a bordo se non un guardiano o qualche immigrato che fa  parte dell’equipaggio. Delle barche abitate si vede solo la luce dall’oblò o il  colore delle luci di posizione. Nessuno sta in coperta con questo tempo, a meno  che non debba sistemare uno strallo allentato o controllare che non entri acqua  da un boccaporto mal chiuso. Si sente solo il tintinnare delle parti metalliche  delle varie imbarcazioni. Quando tornerò a vivere sulla terraferma può darsi  che non prenderò sonno per la mancanza di onde.
 
                    -  
 
                    -     Tra i problemi che il Tevere qui  pone ai naviganti c’è il fenomeno della barra. Esattamente all'altezza  dell'uscita del fiume a mare si forma un basso fondale di sabbia profondo poco  più di 2 metri, ai lati spesso tra 1 e 2 metri. Il suo effetto è quello di generare  uno sbarramento, specie se sommato allo scontro tra la corrente del fiume in  uscita ed al mare in entrata quando soffiano venti dal mare, in particolare quelli  di Ponente (W) e Libeccio (SW), onde molto alte e verticali con frangenti  pericolosi verso terra che impediscono il transito, la cosiddetta Barra,  appunto. Quando le condizioni non sono proibitive, sono comunque impegnative;  la forza delle onde spesso può afferrare la barca e intraversarla, ponendola in  una situazione critica e pericolosa, anche perché nell’immediato non ti permette  nessun tipo di manovra. In certi periodi il transito di barche in quel punto è  intenso e non è semplice accodarsi e aspettare il proprio turno perché c'è  corrente e ci può essere onda e la strettoia costituita dai fanali può forse  rappresentare una difficoltà in più. Senza parlare dei casi, -molti - in cui a  volte barche con elevato pescaggio s’incagliano sul fondale melmos. Quasi  sempre in questi casi uno se la cava da solo o con l'aiuto di altre barche,  facendosi tirar fuori o inclinando gli alberi in modo da diminuire il pescaggio.  Magari dragassero regolarmente il fiume nel passaggio tra i fanali! In realtà  il fiume non è stato quasi mai dragato negli ultimi anni, almeno in quel punto,  anche se il fondale si muove continuamente.
 
                    -      Prima parlavamo di manutenzione. Intanto,  un’occhiata al timone, controllando se non ci sia  acqua infiltrata tra le lamelle (9). Un’ispezione agli accumulatori e  all’impianto elettrico (10). Il controllo  del serbatoio dell’acqua dolce. E passiamo allo scafo: per le barche di  plastica, problemi pochi, a parte l’osmosi, che  crea delle vesciche piene di liquido nello scafo. Con il legno, ben altra  storia, e questa barca ha più di vent’anni ed è abbastanza rovinata. Per ora poco  male, visto che sta ormeggiata. Ma andrebbe alata e messa in secco per la  manutenzione dello scafo e della chiglia. Visto che non si fa, posso soltanto  pensare alla sovrastruttura, come il pavimento di legno tek del ponte. Tre le operazioni da eseguire: sverniciatura completa dei  residui di vecchia vernice, carteggiatura fino ad arrivare a legno nudo,  pitturazione con la nuova vernice. Ma è inverno, per cui meglio lavorare su  piccole zone per volta. Per i materiali, al  porto ci sono negozi di articoli nautici: vernici, solventi, antivegetativa,  pezzi di ricambio.. Il vero problema è che questa barca il mio amico l’ha  comprata d’occasione per soli 3000 euro, ma finora l’ha usata poco. Risale al  1970, lunga 7 e larga 2, tutta in mogano. Tre cuccette, randa steccata, timone  e albero, carena rifatta nel 2013, cuscini nuovi (lo dice lui), motore  applicabile (ma non c’è). Il legno negli interni è bello e caldo, anche se in  qualche punto si è rovinato.
 
                 
                    -     D’inverno una barca va riscaldata,  altrimenti è invivibile. In realtà lo spazio da riscaldare è poco, ma è sempre  importante evitare la dispersione di calore. Questo dipende dalla coibentazione  del fasciame: le barche nordiche sono sicuramente meglio isolate delle nostre,  mentre le barche da regata hanno paratie e fasciame molto sottili. La mia non è  certo una barca da regata, ma neanche una norvegese.
 
                 
                    -     Vorrei farmi  più spesso una doccia decente. Vorrei   alzarmi in piedi senza chinarmi per non sbattere la testa. Vorrei  mangiare meglio. Non conosco nessuno e le famiglie che abitano le case basse si  fanno i fatti loro. La sera fumo la pipa passeggiando verso il  Faro o al porto canale. Di giorno lavoro  all’internet point anche se ho un portatile, non fosse altro per uscire. Altri  che girano intorno: gente comune, operai immigrati, meccanici di motori marini,  skipper disoccupati che d’inverno controllano e curano la manutenzione delle  barche degli altri, lavoratori dei negozi e non solo quelli per chi naviga,  pensionati.
 
                    
                    -     Alcune grandi scoperte geografiche sono  state fatte con navi – le caravelle – poco più grandi di un buon peschereccio  d’altura. E’ vero che non tutti tornavano a casa, ma il fascino dell’Odissea è  proprio quello. Nessuno andava per mare se non per necessità, ma chi navigava  aveva fegato. Ho sempre sognato, passeggiando a Ostia d’inverno, di costruirmi  una barca con tutti i pezzi di legname – tronchi, tavole, residui vari –  lasciati dal mare sulla spiaggia. Non so quanto lontano andrebbe una barca  simile, ma sicuramente gli antichi stavano sempre a sgottar acqua ogni volta  che le onde facevano il mare grosso. Eppure navigavano lo stesso. 
 
                 
                    -     Il viaggio di Magellano è stato narrato da  Enrico Pigafetta, che non era un marinaio, ma un gentiluomo italiano che volle  seguire l’impresa volontariamente. A quell’epoca i marinai erano analfabeti e a  scrivere il diario di bordo ci pensava lo scritturale. Ma i libri di viaggi  erano avidamente letti sia da armatori e mercanti, che dalla gente comune. In  un’epoca in cui il pubblico era formato da gente che si muoveva poco, i libri  di viaggio erano la televisione. Anche nell’internet “si naviga”. I media erano  diversi, le emozioni le stesse.
 
                 
                    -     Per dormire mi sdraio sul divano della  parte centrale. Nelle barche chigliate si dorme bene, al contrario dei  motoscafi d’altura che galleggiano come tappi. La lampada la spengo tardi. Nei  porti turistici ci sono gli allacci a terra per corrente e telefono, ma il mio  amico non vuole spendere. Comunque  a  bordo bastano le lampade alogene alimentate dalle batterie. Ma la sera mi fa  piacere accendere il lume, un vecchio Stenton in acciaio inox a kerosene:  sviluppa 40 lumen, ma riscalda  per 700 calorie. Una lampada come quella fa pure da stufa. Il problema a bordo  infatti non è tanto il freddo – almeno da noi – ma l’umidità, favorita anche  dalla salsedine, e lampade simili asciugano tutto. Non è solo questione di  vivibilità, ma è per il bene stesso della barca. Un buon riscaldamento tiene a  freno l’umidità, e in tal modo la barca si mantiene più in salute. Così la sera  chiudo bene il boccaporto e mi cucino la cena sul fornelletto di bordo, ad  alcool. Le pentole sono impilabili, ma perché non fare lo stesso in casa? Bella  domanda. Quanto alla voce cambusa i  manuali di navigazione raccomandano una serie di alimenti poco deperibili, ma  qui il problema non sussiste. Casomai il vero problema è l’aver pochi soldi per  fare la spesa. Ma dopo cena mi metto a leggere; ora è il turno di un libro che  vorrei tradurre: Alone at the Ocean,  di Hannes Lindemann. E qui apro una parentesi. La lista dei grandi navigatori  in piccole barche è lunga, a cominciare da Joshua Slocum e il suo Spray, per continuare con Capitan Voss e  il suo Tilukum (11). Ma Hannes Lindemann (1922, ancora vivo) ha superato tutti: ha  attraversato nel 1958 l’Atlantico dalle Canarie ai Caraibi (3000 miglia  nautiche) con una canoa smontabile Klepper, oggi esposta al Deutsches Museum di  Monaco. Le sue memorie, Alone at the  Ocean non sono mai state tradotte in italiano ed ora ci sto provando io (12). Era un medico, quindi è riuscito  a non morire durante le dieci settimane trascorse in mare aperto su  un’imbarcazione buona per il campeggio nautico. Tra l’altro è uno dei fondatori  del training autogeno e voleva sperimentare le capacità di resistenza del corpo  umano in circostanze estreme e c’è riuscito. Aveva a bordo 70 kg. di provviste  ma integrava pescando e raccogliendo acqua piovana. Ha sofferto anche di  allucinazioni dovute allo stress, alla mancanza di sonno, alla solitudine. Però  ce l’ha fatta e vive tuttora – novantenne – in quel di Amburgo. E quando  tornerò a terra in una casa nuova, la mia traduzione sarà pronta.
 
                    
                    - NOTE:
 
                    - (1) La passera  istriana è una barca da pesca piatta e pontata, lunga e robusta, mentre la Ballerina (si allude alle scarpe basse) è  uno sloop di sei metri sviluppato dal  disegnatore e progettista inglese Robert Tucker   negli anni ’50 del secolo scorso. Agile barca da diporto, si vide spesso  anche nelle regate. E’ stata costruita in centinaia di esemplari sia da  cantieri industriali che da costruttori dilettanti, e può alloggiare fino a tre  persone. 
 
                    - (2) Non fissare la residenza o registrarsi  “senza fissa dimora” significa perdere alcuni diritti fondamentali. Per  esempio, il diritto (riconosciuto dalla Costituzione a tutti i cittadini) alla  salute. Un lavoratore dipendente con una residenza fissa può andare dal proprio  medico di base, ma chi andasse a zonzo nel Mediterraneo, può andare in una  guardia medica, ma solo dopo le otto della sera o nei fine settimana. Oppure in  un pronto soccorso, intasandolo. E pagando anche un ticket, se non si tratta di  urgenze. Tutti noi abbiamo una tessera sanitaria con un chip che registra (o  dovrebbe registrare) la nostra storia medica. Basterebbe andare da un qualunque  medico e lui, inserendo la tessera in un lettore, saprebbe chi ha davanti.  Troppo facile! 
 
                    - (3) Il tavolo da  carteggio è una specie di scrivania molto comoda, a ribalta. Nell’alloggiamento  si ripongono comodamente le carte nautiche, mentre il ripiano è adatto per  scrivere e far carteggio. La radio di bordo in genere sta sopra, in modo che chi  sta al tavolo controlla anche quella. Chi parla alla radio in genere cerca  informazioni o le comunica alla Capitaneria di Porto o ad altre imbarcazioni,  oppure chiacchiera sui canali non di emergenza. E siccome ti sentono tutti,  quindi non si parla mai di argomenti riservati. 
 
                    - (4) Il cabinato da regata Sopranino fu disegnato da John Laurent Giles (1901-1969) per i velisti Patrick Ellam e  Colin Mudie, sviluppando il concetto – nuovo per il 1950 -  di dislocamento leggero (ULD, Ultra Light Displacement). Con questa  barca i due traversarono nel 1951 l’Atlantico, macinando 10.000 miglia e  dimostrando che con un buon equipaggio poteva farcela benissimo anche un cabinato  di sei metri. 
 
                    - (5) Fiumara Grande, a sud-est di Fiumicino, è la foce del fiume Tevere e  per farsene un’idea basta cercarla su Google Maps o Google Earth. Sulla riva  sinistra si trova la darsena privata della Canados International, mentre sulla  riva destra c'è la darsena dei Cantieri Netter e quella del Porto Romano. Lungo  entrambe le rive sono state costruite molte banchine in legno dai numerosi  cantieri e circoli nautici che offrono assistenza e rimessaggio. La navigazione  all'interno della fiumara va effettuata con la massima attenzione a causa delle  correnti e dei bassi fondali creati dalla risacca.
 
                    - (6) Di mio ho portato poco: di vestiti e scarpe e qualche attrezzo. In più un pacco di foto, qualche cd  pieno di documenti, il crest del reggimento, un portatile, carta e penna (una  stilografica Pelikan, per la precisione), pipa e tabacco, il cellulare, una  macchina fotografica digitale e una radio con cuffia. Il resto - mobili,  lavatrice, frigo, impianto stereo e televisore – li ho regalati alla  parrocchia. Ma non mi sono separato da una cassettina di metallo che contiene  la mia storia: documenti di identità,  distintivi, foto, taccuini e lettere personali, carte di credito e tessere  scadute e una scatoletta di soldatini di piombo piatti. In più, due pen-drive  per i documenti digitali o scansiti, un dvd con le foto e i filmetti di  famiglia. In altri tempi avrei dovuto portarmi dietro una valigia di roba, ma  ormai l’informatica permette di stivare tanto in poco e così sono riuscito a  non perdere il mio archivio personale. In attesa di tempi migliori 
 
                    - (7) Consigli e materiali per la manutenzione della  barca / Diego e Fabio Parodi ;  Mursia editore, (Biblioteca del mare), 2009.  104 p. , ill. , prezzo euro 13.
 
                    - (8) Storia della navigazione : dal 5000 avanti Cristo ai  nostri giorni / Hendrik Willem Van Loon. In antiquariato le vecchie  edizioni Bompiani (dal 1935 al 1961), ma ora c’è una bella ristampa (2007 2  2009) della casa editrice Magenes di Milano. In commercio invece La saggezza del mare: da Capo  dell'Ira alla fine del mondo / Bjorn Larsson, stampato da Iperborea (2003 e  ristampa 2008)
 
                    - (9) Nella maggior parte dei casi il timone è realizzato mediante  assemblaggio di due semi-gusci di vetroresina sigillati con stuoie e resina. Il  profilo posteriore della pala è esposto a piccoli urti, abrasioni da parte  delle cime sommerse, e sfregamenti di altra natura che possono causare il  distacco delle due guance di vetroresina che costituiscono la pala. Nel punto  in cui le due guance del timone si separano, si creano delle vie d’acqua tali  da causare infiltrazioni all’interno della pala. 
 
                    - (10) Tutte  le attività umane richiedono energia e anche una barca dovrà essere alimentata  da diversi dispositivi che ne garantiscono l’efficienza energetica. Quando la  barca è ormeggiata, essa si comporta esattamente come una casa, essendo  allacciata alla rete energetica cittadina.  Bisogna sempre concordare col marina la  quantità di Kw messi a disposizione al proprio ormeggio, 1 o 2 Kw spesso neanche  bastano ad alimentare il caricabatterie della barca, il boiler, eventuale  riscaldamento elettrico e altri dispositivi come un banale fon. Ma bisogna sempre pensare all’autosufficienza  energetica. Utili i pannelli solari  (2  da 80 W ciascuno), che erogano in estate una ricarica assai soddisfacente  (intorno ai 4 A) e in inverno riescono a tenere sempre le batterie caricate,  tamponando gli eventuali abbassamenti di carica. Utili ma rumorose le ventole  dei generatori eolici. Le batterie – tre o quattro - sono da 100 A e di solito  una è dedicata all’accensione del motore.. Come avviene in tutte le barche, nel  caso di inefficienza della batteria dedicata al motore, si può selezionare con  una chiavetta l’accensione tramite le altre batterie. Chi può permetterselo  compri anche un generatore diesel: consuma poco ed eroga 3 Kw a 220 V. E’ sempre  bene fare i calcoli dei consumi in maniera precisa, in modo tale da poter  ottenere una perfetta economia dei consumi. Per fortuna ora esistono le luci a  LED.
 
                    - (11) Su  Joshua Slocum c’è una ricca letteratura, su Capitan Voss assai meno. Per le  loro biografie potete consultare anche Wikipedia. In italiano del libro di  Slocum esiste una buona ristampa di Mursia del 2010: Solo intorno al mondo e Viaggio della Libertade, mentre non è più  stato ristampato il libro del capitano John Claus Voss: Gli incredibili viaggi. Seguiti da venti consigli sul come governare  una piccola imbarcazione in condizioni di mare difficili, non escluso il tifone  : considerazioni sui maggiori disastri navali. Milano, Longanesi, 1958.– E  mentre lo Spray è finito in fondo al mare con il suo comandante, il Tilikum è conservato in un museo  canadese.
 
                    - (12) Alone at Sea.  A Doctor’s Survival experiments During Two Atlantic Crossings in a Dugout Canoe  and a Folding Kayak / Hannes Lindemann : Pollner Verlag, 1958 e ristampa  1998.
 
                   
                    
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