In Cisgiordania, Israele e   Gaza continuano gli omicidi come quelli di Juliano Mer-Khamis e Vittorio   Arrigoni. Due persone, di tante che hanno avuto il coraggio di dare una mano   all’umanità meno fortunata, ritenute pericolose più dei terroristi, o bollati   come “traditori”, come le decine di esponenti dell’intellighenzia israeliana che   hanno chiesto la nascita di uno Stato di   Palestinese. 
                
                In questi ultimi mesi il   Mondo arabo ha monopolizzato il panorama informativo con le proteste e rivolte   per rivendicare il diritto alla democrazia, offuscando le notizie sulla sorte   degli eritrei ed etiopi in ostaggio di predoni nel deserto del Sinai e, sino a   pochi giorni fa, di un Medio oriente ferito dal continuo scambio di razzi contro   missili, tra Hamas e Israele, coinvolgendo la popolazione civile di ambo   gli schieramenti. Una tensione che non si attenua neanche quando si raggiunge   temporanei accordi per sospendere le ostilità, anzi si accresce, come dimostrano   i recenti omicidi di due persone impegnate nella   solidarietà. 
                Ai primi di aprile viene   ucciso l'attore israeliano Juliano Mer-Khamis, promotore in   Cisgiordania del "Fredoom Theatre" (www.thefreedomtheatre.org/) e autore del   documentario "Arnàs Children" (www.youtube.com/watch?v=RHr4K86DPoA). La notizia   della morte dell’attivista filo palestinese, di padre palestinese e madre ebrea,   in Italia è passata distrattamente tra le righe di un paio di quotidiani e   qualcosa di più sulla rete, ma ben altro interesse ha suscitato sui giornali e i   siti inglesi, statunitensi, arabi e israeliani. L’omicidio di un cinquantaduenne   arabo di Israele, avvenuto con cinque colpi di pistola nel campo profughi di   Jenin, seguito da quello del volontario italiano dell’International Solidarity   Movement Vittorio Arrigoni   (www.facebook.com/pages/Vittorio-Arrigoni/290463280451), rapito e strangolato a   Gaza. 
                Due omicidi attribuiti a   gruppi estremisti islamici, per la gran parte dell’opinione pubblica, ma c’è chi   vuol vederci, dietro la morte di Juliano Mer-Khamis, la mano   israeliana e in particolare dello Shin Bet, il Servizio di sicurezza generale   per gli affari interni, poco più di una tesi apparsa sul blog Palaestina Felix   che Anp (Autorità nazionale palestinese) ha subito smentito con l’arresto di un   militante di Hamas (Jerusalem Post: PA forces nab Hamas suspect in Mer-Khamis   murder - www.jpost.com/MiddleEast/Article.aspx?id=215248), considerato   implicato, mentre per Vittorio Arrigoni Hamas ha individuato gli autori   dell’assassinio nell’ambito degli oltranzisti islamici. 
                Juliano Mer-Khamis si   sentiva 100x100 palestinese e 100x100 ebreo, Vittorio Arrigoni era schierato in   difesa dei deboli, accompagnando i pescatori e i contadini nel loro lavoro   quotidiano. Entrambi criticavano la politica israeliana nei confronti della   minoranza araba e palestinese. 
                Vittorio Arrigoni non è   stato mai tenero con il governo israeliano, come si evince negli interventi sul   suo blog (http://guerrillaradio.iobloggo.com/1/nascita-di-guerrilla-radio),   specialmente durante l’operazione israeliana “Piombo fuso” e poi ordinati   nel libro “Gaza, Restiamo Umani” (Manifestolibri, 2009), cogliendo tutta   l’indignazione di chi ha vissuto in prima persona una inumana azione nella   Striscia che ha fatto numerose vittime civili, come ritorsione ai continui lanci   di missili. 
              
                Erano due dei tanti che   hanno avuto il coraggio di dare una mano all’umanità meno fortunata e certe   volte le persone come Juliano e Vittorio possono essere più   pericolose dei terroristi, anche quando uno opera per una convivenza e l’altro   per garantire un’immediata sopravvivenza. 
                La morte di Juliano   potrebbe significare la conclusione dell’esperienza di un teatro educativo,   continuazione dell’opera dalla madre Arna Mer Khamis, con i bambini nei   Territori occupati, ma non della speranza di condivisione tra i due   popoli. 
                Per Vittorio usare termini   come combattere appare inopportuno in una terra martoriata dalla violenza, per   descrivere il suo lavoro nella striscia di Gaza, ma forse non improprio, nella   sua accezione violenta, per chi osteggiava l’arroganza dei militari israeliani,   operando per il diritto a vivere, condannando l’appropriazione indebita di terre   ed edifici da parte israeliana che persevera nell’azione di ebraicizzazione di   vaste aree, Gerusalemme n’è un esempio, spingendo ed emarginando in zone aspre   la componente palestinese presente in Israele. 
                Vittorio era maggiormente   interessato alla quotidianità dei palestinesi più che a cercare un dialogo tra   le persone di quei territori e la scelta della madre di non far transitare la   salma del figlio per Israele, perché da sempre ritenuto persona indesiderata,   non abbassa i toni del confronto e non aiuta a trovare un barlume di umanità tra   posizioni interscambiabili tra aggressori e aggrediti, con chi si difende e chi   offende. 
                
                Tra gli ultimi eventi di   un continuo uccidersi a vicenda, un poliziotto palestinese uccide il   nipote ministro israeliano degli Affari culturali Limor Livnat, per una mancata   comunicazione sulle intenzioni del gruppo, di cui faceva parte il nipote del   ministro, nel recarsi a Nablus (Cisgiordania). Un pellegrinaggio alla tomba di   Giuseppe, effettuato senza autorizzazione dell'esercito israeliano e che sarà di   fonte di nuove tensioni con l’Anp (Autorità nazionale   palestinese). 
                
                Un pertugio di speranza per   una pacifica coesistenza viene da Tel Aviv, dove decine di intellettuali hanno   chiesto la creazione di uno stato indipendente, con la petizione presentata da   esponenti della cultura israeliana nella Independence Hall, dove David Ben   Gurion proclamò 4   maggio 1948 la nascita dello Stato d'Israele, commentata da Yael   Dayan, figlia dell'ex generale Moshe Dayan con "Nel 1948, è stato il nostro   turno, ora è la loro", per uno Stato di Palestina entro i confini del   1967. 
                
                Un’iniziativa che potrebbe   dare stimolo al proposito dei palestinesi di ottenere a settembre dall’Assemblea   Generale dell'Onu, il riconoscimento di un proprio Stato da proclamare   unilateralmente. 
                
                Decine di esponenti   dell’intellighenzia israeliana, alcuni vincitori del Premio Israele, chiedono di   terminare l’occupazione, una premessa fondamentale per la liberazione dei due   popoli, riferito alla risoluzione di partizione delle Nazioni Unite del 1947 e   presente nella Carta di Indipendenza di Israele. 
                I promotori della petizione   vengono stigmatizzati come “traditori” e, come ai palestinesi, destinati ad   essere buttati in mare. 
                
                In Israele, come in   Cisgiordania e a Gaza, ci sono molti “traditori” che non complotta nell’oscurità   per danneggiare il prossimo, alla luce del sole, gettando le basi, tra mille   difficoltà e incomprensioni, per una convivenza tra le persone. Persone che non   possono, secondo alcune pretesa, essere “buttare in mare”, un’invocazione che   accomuna gli ottusi di tutto il Mondo verso ciò che non si   comprende. 
  
 |